Più di 300 bambini uccisi o feriti ad Aleppo orientale negli ultimi cinque giorni. Secondo la Ong Save The Children le vittime del conflitto in Siria, nella parte di Aleppo assediata dalle truppe governative e controllata dai ribelli, sono per metà bambini. Gli addetti al trasporto su ambulanza della Ong siriana Shafaq, partner di Save the Children, affermano che più del 50% delle vittime recuperate nelle ultime 48 ore sono bambini, così come sono minori il 43% dei feriti curati nella giornata di sabato scorso, 8 ottobre, in un ospedale della zona. I medici stanno lavorando giorno e notte per salvare quante più vite umane possibile, tuttavia tanti bambini continuano a morire sui pavimenti degli ospedali a causa della mancanza di medicinali di base, antibiotici, anestetici e attrezzature, come i respiratori.
I casi più gravi necessitano del trasferimento immediato fuori dalla zona orientale di Aleppo, ma questo non è possibile perché tutte le strade sono bloccate. E si continua a combattere anche a Damasco, nel nord e in molte altre regioni della Siria, dove sono presenti centinaia di gruppi diversi con interessi e finalità differenti.
Nel frattempo, i grandi della Terra, quelli che ogni giorno scommettono sul futuro delle nuove generazioni per preservare un fantomatico “ordine mondiale”, tergiversano e sembrano rimanere indifferenti di fronte a una tragedia che si ripete ormai quasi ogni giorno da oltre cinque anni. Il conflitto siriano è iniziato infatti nel 2011, dopo le contestazioni di piazza al potere del presidente eletto Bashar al Assad. Ed oggi, dopo centinaia di migliaia di morti, milioni di sfollati e città completamente in macerie, e l’ingresso di diversi attori nel conflitto, tra cui Russia, Usa e Turchia, la soluzione appare sempre più lontana.
La tregua concordata da Mosca e Washington, che fino a qualche mese fa sembrava ormai fatta, è fallita nuovamente il mese scorso, proprio ad Aleppo, dove le truppe governative siriane, appoggiate dalla Russia, continuano ad assediare le aree occupate dai ribelli, mentre questi rispondono agli attacchi con altrettanta violenza.
Oggi si dovrebbe tenere a Losanna, in Svizzera, l’ennesimo tentativo di dialogo: questa volta partecipano anche i ministri degli Esteri di Turchia, Qatar, Arabia Saudita e Iran, paesi più o meno direttamente coinvolti nel conflitto: Turchia, Qatar e Arabia Saudita più vicini alla galassia di fazioni ribelli che operano contro il regime di Assad; l’Iran, invece, a fianco del governo di Damasco. La Russia, primo sostenitore del presidente siriano, ha fatto già sapere però di non aspettarsi molto dall’incontro di oggi.
La comunità internazionale sta facendo pressione su Mosca perché metta fine al bombardamento dei quartieri orientali di Aleppo a fianco delle forze governative siriane e consenta l’accesso degli aiuti umanitari dell’Onu in quelle aree. Ma la Russia sembra andare in tutt’altra direzione: nei giorni scorsi ha ratificato il dispiegamento a tempo indeterminato delle sue forze aeree in Siria e ha posto le sue condizioni per una fine del conflitto che prevedono un cessate il fuoco solo parziale.
L’unico motivo di speranza in questo momento è una proposta della Nuova Zelanda che ieri ha fatto sapere di aver presentato all’Onu una nuova bozza di risoluzione sulla Siria. Nel documento si obbligano le parti a “porre fine ai raid che possono portare alla morte di civili o alla distruzione delle infrastrutture civili” in Siria, in particolare ad Aleppo. I diplomatici neozelandesi chiedono inoltre una tregua umanitaria di 48 ore per evacuare i feriti e riattivare il processo politico.
Il rappresentante permanente del Regno Unito presso l’Onu, Matthew Rycroft, ha detto che il voto sulla nuova bozza potrebbe avvenire già la prossima settimana. I diplomatici si baseranno sui risultati della riunione ministeriale di Losanna e di un’altra che si dovrebbe tenere successivamente a Londra. Il rischio però è che si ripeta nuovamente lo scenario dei mesi scorsi: un cessate il fuoco temporaneo la cui minima violazione viene usata come pretesto da una delle parti per rompere la tregua nella speranza di avere la meglio sulle rivendicazioni dell’altra.
G.L. -ilmegafono.org
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