Non le vediamo, ma le ritroviamo nei prodotti che usiamo quotidianamente. Si tratta delle microplastiche che si annidano nelle creme, nelle schiume da barba, nei prodotti di make-up. Solo per i prodotti di bellezza, infatti, ne sono state impiegate quasi 5.000 tonnellate, con una concentrazione talvolta fino al 90 per cento, che successivamente sono finite quasi tutte in mare. Sono talmente piccole da riuscire a sfuggire anche ai migliori filtri dei sistemi di depurazione. Il tragitto percorso è sempre lo stesso: dal lavandino di casa nostra finiscono nel mare e poi tornano nei nostri piatti con il pesce che mangiamo. Un cerchio davvero difficile da spezzare, ma che presto potrebbe vedere la sua fine.
A fermare la proliferazione di queste particelle ci sta pensando una proposta di legge promossa dall’associazione Marevivo e presentata a Napoli. Il testo racchiude tre articoletti e poche righe, con la prospettiva di avere un impatto significativo: si stabilisce che “dal 1° gennaio 2019 è vietato produrre e mettere in commercio prodotti cosmetici contenenti microplastiche”, cioè “particelle plastiche di misura uguale o inferiore a 5 millimetri”. Per i trasgressori sono previste multe da 100 mila a 500 mila euro. Il primo firmatario della proposta è il presidente della commissione Ambiente della Camera, Ermete Realacci. A lui si sono aggiunti na quarantina di deputati di diversi schieramenti politici, escluso il M5S.
“A ottobre 2015 a Washington ho incontrato i rappresentanti della ong statunitense Wildlife Conservation Society che stavano lavorando per vietare le microplastiche nei cosmetici nello stato di New York. Così ho pensato di portare la campagna e la proposta di legge anche in Italia”, spiega la presidente e fondatrice di Marevivo, Rosalba Giugni. “Nel frattempo Obama ha trasformato il provvedimento in una legge federale, che entrerà in vigore in tutti gli Stati Uniti nel 2017”.
L’emergenza delle microplastiche non riguarda solo i cosmetici, ma anche i frammenti che derivano dalla disgregazione di rifiuti plastici più grandi e le fibre di tessuti sintetici che si staccano dagli abiti in lavatrice e finiscono poi nei mari. La situazione, infatti, diventa sempre più critica: se non ci sarà un’inversione di marcia, nel 2050 sin mare sarà più facile trovare plastica che pesci.
Le microplastiche, una volta arrivate in mare, vengono ingerite direttamente da organismi come molluschi e crostacei; nel caso delle microsfere dei cosmetici anche dal plancton. È proprio da questo punto che risalgono la catena alimentare fino ai pesci più grandi e infine all’uomo. Se si considera che si consumano circa 23 chili di pesce per persona all’anno, non è difficile intuire gli effetti sulla salute umana.
Un momento cruciale sarà l’incontro con le aziende della cosmetica, che dovranno cambiare i loro processi produttivi. “Non c’è stato ancora un confronto, ma negli USA hanno dato la propria disponibilità prima ancora dell’approvazione della legge”, spiega fiduciosa Rosalba Giugni.
Al momento è difficile fare pronostici sui tempi di discussione e approvazione della legge e nel frattempo Giugni ha lanciato una campagna di sensibilizzazione (“Mare Mostro”) e la petizione online su change.org e marevivo.it per mobilitare i parlamentari. “Nel 1985, quando iniziammo a pulire le spiagge, ci prendevano in giro dicendo che la plastica era un inerte inoffensivo e quando nel 1987 tentammo di bandirla dagli arenili delle isole minori venimmo sconfitti dalle aziende, che fecero ricorso al Tar. L’Olanda ha provato prima di noi a far approvare una legge contro le microplastiche, ma non ci è riuscita: essere i primi in Europa sarebbe un bel fiore all’occhiello per l’Italia”.
Veronica Nicotra -ilmegafono.org
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