Ci sono voluti ben quattro giorni di scrutinio elettorale per determinare il nuovo presidente del Perù. Nella sfida tra Keiko Fujimori e Pedro Pablo Kuczyinski, ha avuto la meglio quest’ultimo, ex economista della Banca Mondiale. Per una manciata di voti, qualcosa come circa 40.000, il ritorno del “Fujimorismo” è stato evitato. Tra la gente non si dice che ha vinto PPK (sigla del nuovo presidente oltre che del suo partito, “Peruanos por el Kambio”), bensì che Keiko ha perso. E questo fa capire molto sulla percezione della democrazia in questo paese del continente americano. Proviamo, allora, ad analizzare la sua figura politica oltre al contesto politico generale del paese per capire a quali scenari futuri il Perù sta andando incontro.

Partiamo dalle travagliate elezioni per comprendere meglio come si è arrivati alla sua vittoria. Keiko era in vantaggio al primo turno e, difatti, ha conquistato il parlamento, a maggioranza fujimorista, ovvero del suo partito “Fuerza Popular”. Fatti fuori dalla gara elettorale, in maniera dubbia, due candidati forti in termini di consenso come Guzman e Acuna, restavano pochi avversari da battere per la figlia del dittatore giapponese. È stato così che i voti dei due esclusi sono confluiti su Veronika Mendoza del Frente Amplio, coalizione di sinistra socialista, e appunto su PPK. Da qui la sfida elettorale tra la antropologa e psicologa metà francese e l’economista, anche lui per metà francese. Risultato: 19% per la sinistra, 21% per la destra liberale, il resto a Keiko.

Il ballottaggio del 5 giugno è stato così un appuntamento con la storia e la libertà del paese: dopo 16 anni, ci si chiedeva, la famiglia Fujimori tornerà? Parlare di vittoria di PPK è elettoralmente impossibile: 40.000 voti non sono una vittoria, stiamo parlando del 50,124%. Un miracolo si direbbe. Anche se in questa vittoria risicata c’è un discorso nella antica lingua Quechua della Mendoza per convincere molte comunità andine ad andare a votare e votare per PPK. Parte di questa vittoria è anche la carta dei brogli elettorali che Keiko ha voluto sagacemente non giocarsi, probabilmente per evitare di sporcare ancora di più il nome della sua famiglia a livello internazionale ed eliminare ogni prospettiva di carriera politica futura.

Insomma Keiko ha perso per un pelo, insieme alla sua squadra corrotta e invischiata nel riciclaggio di denaro e nel narcotraffico. Però ha la maggioranza in parlamento. La sera della chiusura della campagna elettorale ballava la Cumbia con il suo marito italo-americano, anche lui uomo di affari discusso negli USA. E ora cosa succederà al Perù?

Nel provare a dare una immagine al nuovo presidente peruviano si potrebbe partire dalla sua ideologia politico-economica. Uomo della destra liberista, delle grandi aziende energetiche ed automobilistiche, sicuramente farà sì che molti investimenti stranieri arrivino nel paese. Il Perù rischia una svendita in termini di risorse naturali. È un uomo democratico, lontano dalla grande corruzione con il narcotraffico e non propone sicuramente di militarizzare il paese per combattere la criminalità, come fece la sua avversaria. Avendo studiato nelle università occidentali, lavorato per organismi dell’economia mondiale ed avendo un forte rapporto professionale con gli USA, si potrebbe dire che stiamo parlando di un democratico, liberista, a tratti liberale, ancorato alle logiche di mercato che si ritrovano nelle migliori pause caffè dei grandi del Fondo Monetario Internazionale.

Uomo dalla cultura forte, anziano (è del 1938), soffre di alcuni problemi fisici. Non è chiaramente un giovane pimpante. Tra i punti positivi si potrebbe sperare in una ripresa per l’economia interna. In quanto liberista, Kuczyinski sa bene che, nel 2016, senza consumi non si può pretendere che 30 milioni di abitanti continuino a lavorare ad orari da Unione Sovietica per multinazionali straniere. Una delle sue prime proposte è aumentare il salario minimo generale e quello per i professori. Questo darà vantaggio ai lavoratori, senza per questo però assicurargli un paese migliore, per quel che riguarda i problemi cronici del Perù, come il lavoro minorile, il narcotraffico, la violenza sulle donne e tanti altri.

Ecco, su tutto questo si potrebbe dire che, mentre Keiko avrebbe favorito la crescita di questi fattori, PPK semplicemente li lascerà così come sono, senza intervenire, passivo. Ingenuamente dimenticando che il rischio della narco-democrazia è sempre alle porte. E di certo non sarebbe la prima in sud e centro America, dopo il Messico, il Brasile e la Colombia. Fino al 2021 il neopresidente dovrà guidare il paese, con un parlamento che gli sarà contro, in quanto a maggioranza fujimorista. Questo potrebbe avvantaggiare la Mendoza, leader del Frente Amplio, la quale potrebbe raccogliere consenso dalle malefatte commesse dal legislativo nazionalista e dall’esecutivo liberista. Dall’altra parte, pare che Keiko, dopo la terza sconfitta elettorale, si stia ritirando per lasciare spazio al fratello Kenji Fujimori.

Per capirci qualcosa basta poco: il secondogenito del dittatore dice apertamente che in caso di vittoria farebbe uscire il padre dal carcere per dargli un incarico di potere, darebbe maggiori poteri civili all’esercito e farebbe una lotta spietata a quel che resta del Sendero Luminoso, ormai colluso con il narcotraffico.

Una cosa è certa: l’acqua delle Ande puzza ancora di mercurio, mentre una ricerca in corso d’opera, condotta dalla ONG “Proyecto Amigo” di Huamachuco sulla condizione sociale dei bambini e adolescenti lavoratori di Huamachuco, dice che un minore lavoratore guadagna 1,49 Nuevo Soles all’ora, qualcosa come 40 centesimi di euro. Per sette ore giornaliere lavorate in media, sarebbero meno di 3 euro al giorno. Kuczyinski è atteso da tante sfide e a noi altri non resta che la speranza che qualcosa verrà risolto. Gli operatori delle ONG hanno tirato un sospiro di sollievo profondo. Keiko, infatti, avrebbe cercato di togliere potere assistenziale al mondo non-profit. Ora non resta che continuare a fare quel che si sta facendo, senza fermarsi, perché fermandosi si rischia di credere che non sia possibile cambiare le cose.

Lo è stata Virginia Raggi nelle elezioni comunali di Roma per molti, lo sarà sicuramente Hillary Clinton per la presidenza degli Stati Uniti d’America, lo è Podemos in Spagna per il parlamento, di sicuro non lo è il nostro President for young people Matteo Renzi. Stiamo parlando del concetto del male minore. Ormai facente pienamente parte della galassia concettuale della politica contemporanea, il suddetto metodo di ragionamento pessimista è più forte di un teorema della logica aristotelica per quanto riguarda la scelta del candidato da votare o per il quale simpatizzare, sperare. E così è stato anche in Perù. Dove ancora una volta è stato evitato il baratro, ma l’uscita dalla caverna dell’ingiustizia, dell’odio, della violenza, della disuguaglianza e di tutte le altre sfumature del male di cui l’uomo è capace è ancora lontana.

Ne cantava Luis Abanto Morales, un grande della musica peruviana, nella canzone Cholo Soy (ascolta qui), chiedendo di non avere compassione per i cholos, ovvero i meticci vittime della colonizzazione spagnola, ma solo di lasciarli in pace, tra i loro monti, ad arare la terra, perché loro sarebbero felici così. Ascoltatela se avete tempo, e sentirete il lamento dimenticato di chi è stato sempre tra gli ultimi di questo pianeta che ora si vuol chiamare globalizzato. Un popolo che soffre da secoli, senza mai perdere la dignità, il sorriso o l’occasione per far fiesta e volersi bene, senza mai piangere, perché il Cholo piange dentro, sin mostrar las lagrimas.

Italo Angelo Petrone -ilmegafono.org