Non molti giorni fa, per la prima prova degli esami di maturità, in Italia, una delle tracce del compito di italiano proponeva agli studenti una riflessione sui confini. Poche ore dopo, l’Unione Europea viveva la notte della “Brexit”. Penso che se fossi stato un maturando, avrei sicuramente scelto quel tema ribadendo quell’utopia di cui sono sempre stato convinto: l’abbattimento di tutti i confini, un mondo libero, aperto, in pace. Qualcosa che, ne sono consapevole, appare oggi praticamente irrealizzabile. Avrei anche scritto come il progetto/sogno originario della grande Europa unita fosse quello in qualche modo più vicino a quell’utopia, ma che per realizzarsi avrebbe avuto bisogno di una guida illuminata, di una politica di aperture e di pace, che mettesse al primo posto le persone, i diritti, l’accoglienza, il dialogo, la cultura.
Questa Europa, invece, ha visto prevalere gli egoismi, gli squilibri; in nome degli interessi finanziari e delle banche ha reso più profondo il solco tra ricchi e poveri, chiudendosi e prendendo la forma di una fortezza stracolma di indifferenza. E aveva ragione da vendere la Grecia, quando ha provato con dignità a dare una scossa ai grandi poteri centrali che manovrano il continente e le economie dei paesi più poveri. La Grecia si difendeva da una minaccia arrogante, ma rimanendo dentro l’Europa. Era una storia diversa. Erano condizioni diverse. Ecco perché la notte della Brexit ho provato sconcerto nel vedere cittadini italiani esultare, parlare di uscita generale, sperare in referendum dallo stesso esito anche in Italia e in altri paesi, augurarsi la dissoluzione dell’Europa.
Ho letto di “uscite da sinistra” proposte da pensatori che si definivano marxisti-leninisti nei blog più disparati, ho letto post entusiasti di esponenti leghisti, estremisti di destra, leader populisti. Un calderone composito, un brodo denso e compatto nel quale a bollire è l’esistenza dell’Unione. Il nemico comune. Il complice delle peggiori nefandezze, il responsabile di tutti quegli sbagli a cui si faceva accenno poc’anzi. Responsabilità verissime, per carità, errori tangibili, mancanze gravi, politiche sbagliate. Tutto vero. Non mi spiego però cosa ci sia di entusiasmante e come si faccia a sperare nella sparizione dell’Ue. Soprattutto non capisco a quale soluzione alternativa aspirino gli entusiasti.
Tornare indietro? Tornare agli Stati nazionali, alle singole economie, alle frontiere, alle politiche interne che diventano cocciuto copione da seguire anche nei rapporti internazionali? Tornare alle tensioni, ai dispetti, alla gestione solitaria di fenomeni dalle dimensioni mondiali che ormai riguardano tutti? L’immigrazione, ad esempio: gli accordi con la Turchia, la vergogna del trattamento dei profughi alle frontiere, le resistenze al cambiamento delle norme di Dublino sull’asilo europeo sono macchie indelebili sulla coscienza e sulla politica dell’Unione, questo nessuno lo mette in dubbio.
Ma come si pone rimedio a tutto ciò? Si pensa davvero che senza l’Ue le cose migliorerebbero? Senza le sanzioni e la mediazione dell’Unione, anche in virtù di un acceso dibattito, in quanti credete che accoglierebbero i migranti? In quanti li andrebbero a salvare in mare? Se oggi nel Mediterraneo vengono salvate migliaia di vite (e non basta ugualmente) è perché finalmente, dopo lunghe contrattazioni, si è stabilito che il pattugliamento e il salvataggio spetti a tutti, non solo ai paesi che si affacciano su quel mare, e ciò ha portato ad azioni più ampie di soccorso. Un altro esempio: i respingimenti in mare che Maroni e Berlusconi fecero diventare legge e oscena pratica nazionale vennero polverizzati soltanto grazie alle sanzioni che la Corte Europea dei diritti umani inflisse all’Italia, costringendola a smettere. Altrimenti sarebbero continuati per anni, nonostante l’aperta contrarietà dei capitani della Marina militare.
Già questo dovrebbe bastare a comprendere che la dissoluzione dell’Ue è esattamente l’obiettivo di quella ondata reazionaria e xenofoba che mira alla conservazione di interessi privati e che ha individuato nei migranti un capro espiatorio utile a produrre consenso attraverso campagne politiche e vocabolari che istigano alla paura. Il tutto per mantenere la ricchezza nelle mani di chi, negando i diritti, può ottenere manodopera irregolare da sfruttare a basso costo e senza tutele. Esattamente il disegno di Le Pen, Farage, Salvini, Borghezio, che infatti esultano. Euroscettici invasati che strepitano ogni giorno accusando l’Europa, tranne quando da quell’Europa ricevono lo stipendio da parlamentari. Incoerenza che il popolo bue ingoia senza nemmeno masticare.
Euroscettici che si gonfiano grazie agli errori dell’Europa ma anche e soprattutto grazie a chi ha staccato il cervello o lo ha drogato di visioni complottiste al limite del paranoico. E qui sovviene qualche altra domanda: davvero si è convinti che l’Ue sia l’unica responsabile e che gli elettori tutti siano scevri da qualsiasi colpa? Mi spiego: è davvero l’Europa la colpevole da abbattere o sono forse gli esponenti politici che votiamo e mandiamo in parlamento a usarla come alibi? Non è che se Francia e soprattutto Germania dettano legge è forse anche perché gli altri paesi non esprimono classi dirigenti capaci di tenere la schiena dritta e far valere le proprie ragioni cercando di correggere lo squilibrio?
Non sarebbe strano, andando a leggere meglio la storia, accorgersi di come certi errori “europei” siano in realtà prima di tutto errori compiuti dai nostri leader nazionali. Si parla spesso, per esempio, del vergognoso e squallido accordo con la Turchia per non far passare i migranti verso la Grecia, ma mi chiedo: chi ha siglato in passato accordi crudeli con la Libia, lasciando morire nel deserto, in mare, nelle carceri e nei porti libici migliaia di persone? Chi, nel giugno 2015, ha ribadito ed esteso un accordo con il dittatore del Mali per frenare l’emigrazione dal paese africano verso l’Europa? È stata l’Italia, sono stati i governi che si sono susseguiti negli anni. Senza correggere queste devianze nazionali, allora, come ci si può aspettare un’Europa diversa? E come si può pensare, d’altro canto, di porli nella ancor più oscura prospettiva di guidare politiche esterne all’Unione?
E questo solo per quel che concerne l’immigrazione, ma potremmo spostarci sui diritti civili, sulle minoranze, sulla pace interna, sugli scambi culturali, sulla libera circolazione. Insomma, forse sarebbe più saggio fermarsi a riflettere un attimo e analizzare gli eventi con occhio critico e storico, cercando di immaginare gli scenari futuri. Perché in un momento nel quale, sotto il vento delle destre populiste, si rimettono in discussione persino Schengen e le libertà fondamentali (e senza l’Europa le restrizioni sarebbero già realtà diffusa nella gran parte degli Stati), parteggiare per la Brexit o chiedere la fine dell’Euro appare un po’ come pensare di ristrutturare una casa malconcia ma ancora solida buttandola giù con tutta la gente dentro, fregandosene delle macerie e soprattutto del numero delle vittime.
Forse è ora di non appendersi più all’alibi dell’Europa cattiva e piuttosto provare a selezionare classi dirigenti capaci di imprimere all’Unione un cambio di direzione verso uno schema politico e di valori differente. La casa va certamente ristrutturata, ma non distrutta. Per il bene di tutti. Sia di chi la abita che di chi chiede ospitalità e cittadinanza.
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
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