Questa è la storia di un uomo tra tanti. Un imprenditore, un marito, un padre ma soprattutto un uomo onesto che ha scelto di non scendere a compromessi con le mafie. Un uomo che non si è piegato ad estorsioni e minacce e che da allora è in pericolo ma continua a lottare. Le sue disavventure sono iniziate sette anni fa, nel 2009, quando l’imprenditore palermitano Gianluca Calì, già titolare di una concessionaria a Milano, decise di aprire una filiale a Casteldaccia, in provincia di Palermo, con il duplice obiettivo di incrementare il proprio giro di affari e di riqualificare la sua terra natale che, martoriata da mafia e scarse possibilità occupazionali, lo aveva spinto ad emigrare per realizzarsi professionalmente.
La Calicar siciliana andò subito bene e, già nel corso del primo anno dall’apertura, realizzò fatturati tali da attirare l’attenzione dei clan della zona. Calì inoltre, nel 2011, ignorando le pressioni di chi voleva indurlo a lasciar perdere, si aggiudicò all’asta una villa che era stata di Michele Greco, il Papa di cosa nostra, e di Michelangelo Aiello, il boss di Bagheria. Lo scontro con la mafia divenne inevitabile. Iniziarono a quel punto i tentativi di estorsione: gli fu più volte chiesto di versare il famoso “aiuto per i carcerati” e, in seguito al suo rifiuto e alle sue denunce, nell’aprile 2011, i mafiosi diedero fuoco ad alcune autovetture nella sua concessionaria. Un tentativo di estorsione miseramente fallito: Calì decise semplicemente di trasferire l’attività di qualche chilometro e riaprì l’autosalone ad Altavilla Milicia. Ma questa misura, come era tristemente prevedibile, non bastò a scoraggiare i mafiosi che lo avevano preso di mira.
Anche ad Altavilla non sono mancate minacce (anche di morte), furti di auto (alcune delle quali poi trovate bruciate) e persino irruzioni nel suo appartamento. A tutto questo l’imprenditore ha reagito continuando a denunciare ogni singolo episodio di intimidazione, acquistando, di tasca propria, un’auto blindata per la sicurezza sua e della sua famiglia e ponendo all’uscita della concessionaria siciliana un cartello, un “appello alla cittadinanza per non morire”. Un cartello nel quale l’imprenditore chiede semplicemente che tutti i cittadini lo aiutino segnalando alle autorità qualunque attività sospetta notata nei pressi del suo autosalone. Una richiesta che sembrerebbe superflua ma purtroppo non lo è affatto.
“La cosa più terrificante – ha dichiarato Calì riferendosi all’attentato subito dalla sua concessionaria a Casteldaccia- è stata quella di vedere tantissima gente, centinaia di persone con le braccia conserte, che non facevano nulla per cercare di limitare i danni o domare le fiamme, ancor peggio non hanno avvisato i vigili del fuoco, mi hanno solamente chiamato per avvisarmi dicendomi: ‘Chiamali tu i vigili del fuoco’”. In questa lotta “imprenditore onesto vs mafia” non sono mancati neanche “special guests”. La villa che l’imprenditore si era aggiudicato all’asta è stata infatti, nel 2013, sottoposta per ben due volte a sequestro da parte della Guardia forestale (il secondo sequestro a distanza di appena 11 giorni dal dissequestro e sulla base di un verbale recante le medesime motivazioni del primo: “stato grezzo e in corso d’opera”, motivazioni che erano già risultate essere false).
Anche in questo caso, da uomo fiducioso nelle istituzioni, Calì ha denunciato i due ispettori firmatari dei provvedimenti di sequestro: Luigi Matranga e Giovanni Coffaro. Dalle sue denunce è partita un’inchiesta della Procura di Palermo che ha portato a scoprire un sistema di estorsione e corruzione che vedeva coinvolti alcuni esponenti della forestale. Sembrerebbe, infatti, che gli ispettori oggetto di indagini ricattassero i cittadini minacciando il sequestro delle loro abitazioni per ottenere il versamento di somme di denaro. La stessa indagine ha permesso inoltre di appurare la collusione di alcuni di questi ispettori con il clan di Bagheria.
Adesso Calì e la sua famiglia vivono a Milano, nel Nord Italia che in tanti erroneamente considerano territorio libero dal giogo mafioso e dalla piaga dell’omertà. Erroneamente, perché anche a Milano l’imprenditore siciliano ha subito svariate minacce. L’ultima e probabilmente più spaventosa risale allo scorso 19 ottobre quando, all’uscita da scuola, i suoi due bambini e la loro baby sitter sono stati avvicinati da un’auto con vetri oscurati. Un uomo, all’interno della vettura, ha chiesto con accento siciliano alla baby sitter se quelli fossero i figli di Calì. Per fortuna, in quella occasione, nulla è accaduto ai due bambini e i loro genitori si sono subito attivati a comunicare l’accaduto alle forze dell’ordine e al dirigente scolastico, così da ottenere le necessarie condizioni di sicurezza.
Quello che hanno ottenuto, oltre a rassicurazioni istituzionali in merito ad un maggiore impegno profuso nella protezione della loro famiglia, è stato purtroppo imbattersi nell’egoismo umano. I genitori degli altri alunni della scuola in questione, comprensibilmente preoccupati, hanno cominciato a porsi problemi per la sicurezza dei figli e alcuni di loro sono arrivati a proporre misure fortemente criticabili, quali fare andare in gita da soli i due figli dell’imprenditore o farli uscire da uscite secondarie e in orari non canonici. Pochi giorni fa, infine, è stata presentata da una rappresentante di classe, all’attenzione della dirigenza scolastica, una lettera nella quale si comunicava l’intenzione di valutare la possibilità di trasferire i propri figli in una scuola più sicura.
Nella lettera, inoltre, l’autrice (ed è questa la cosa più sconcertante) si dice “rattristata per i piccoli che subiscono l’eredità del padre”, come se essere testimoni di giustizia fosse più una colpa che una scelta coraggiosa. Abbiamo pertanto chiesto allo stesso Calì delle considerazioni su quanto sta accadendo intorno a lui e alla sua famiglia. “La paura – ci ha detto – è comprensibile, però non ci si deve fare condizionare da essa altrimenti è una battaglia persa e un grande autogol che facciamo a favore della mafia e dei mafiosi”. “Vorrei – ha poi aggiunto – che fossimo uniti per chiedere maggiore protezione alla mia famiglia e ai bambini della scuola anziché discriminare i miei figli”.
A seguito di tale lettera, lo scorso 13 gennaio, nei locali scolastici, si è comunque svolto l’incontro, precedentemente organizzato con Calì , incontro che l’autrice della lettera e i suoi sostenitori consideravano pericoloso. Nel corso della riunione molti genitori più coraggiosi, o semplicemente meno egoisti, hanno espresso la propria disapprovazione per la missiva e la propria vicinanza e solidarietà alla famiglia Calì. In un Paese civile è inaccettabile che le persone oneste e rette siano discriminate e lasciate sole. Sarebbe forse più giusto ringraziare chi non accetta compromessi, chi corre dei pericoli per la giustizia, chi porta avanti una battaglia anche per noi, perché la mafia è nemica di tutti e, come ha dichiarato una mamma alla fine della riunione, “insieme si corrono meno rischi”.
Anna Serrapelle -ilmegafono.org
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