I dati sul lavoro di questo novembre sono sicuramente rinfrancanti. L’INPS, fonte oltremodo attendibile e lontana dagli errorucci passati del ministero di Poletti, parla di 469mila assunzioni a tempo indeterminato in più, considerando in questa cifra anche il passaggio a tempo indeterminato dei contratti già in essere. Il dato va letto con ottimismo sotto due profili ma senza entusiasmi, come proverò a spiegare tra poco. Prima di tutto il vecchio caro contratto a tempo indeterminato, che per qualche anno è stato davvero un miraggio, ha il pregio indiscutibile di dare molta più “sicurezza” nei consumi. Si possono, in poche parole, fare piani a lungo termine, come ad esempio l’acquisto di un’abitazione.
Non è un caso allora, e questo è il secondo punto, che il valore dei mutui erogati fino a luglio (dati ABI riportati qui) sia aumentato dell’82% rispetto all’anno precedente (stesso periodo). Il dato è peraltro confermato anche dal numero dei mutuatari (vedete qui). Certo l’“Effetto SuperMario Draghi” e i suoi tassi al minimo sono sicuramente un incentivo forte (e potenzialmente pericoloso come insegnò la beneamata crisi dei subprime), ma chi mai si impegnerebbe in un contratto di mutuo senza la certezza di potervi fare fronte? Al netto del rischio “bolla” causata da tassi bassi, l’incremento dei mutui pare essere un primo tassello importante dell’“Effetto Renzie” sulla decontribuzione.
Ma la formazione da abbecedario di economia che mi porto appresso, mi impone ulteriori riflessioni. La prima è che sicuramente la strada è ancora lunga. Considerate che, se nel 2008 il tasso di occupazione totale era 58,6% (età tra i 15 e i 64 anni), adesso (secondo trimestre) è del 56,3%. La seconda invece mi preoccupa un po’. L’effetto decontributivo (in soldoni: un incentivo alle aziende che “pagano meno” i contributi per i lavoratori, a parità di condizioni per i lavoratori stessi) si applica per i contratti con decorrenza (leggi “che iniziano”) tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2015 ed ha effetto per tre anni.
Persino al contadino Bertoldo e alla casalinga di Voghera (archetipi di intelligenza media sempre cari) risulta evidente la “spinta” all’assunzione nel 2015. Ma che ne sarà di noi dopo? Che ne sarà di quei lavoratori una volta passati i tre anni? Se la prima domanda la lasciamo alle aule deputate alla legislazione, la seconda è forse di più semplice soluzione. Difficile che a un’azienda che abbia “investito” (con un termine allucinante tanto caro agli aziendalisti) per tre anni in un dipendente convenga poi liberarsene al primo chiaro di luna.
Infine, un’ultima osservazione invece di carattere politico. Perché mai dovremmo utilizzare delle risorse per togliere una tassa sulla casa (che per certi versi è sicuramente rivedibile e migliorabile, soprattutto per le fasce più deboli della popolazione, come i pensionati) quando la decontribuzione del lavoro porta questi effetti? Viene il dubbio che la mossa sia squisitamente politica nel senso più becero, ovvero elettorale, della parola e che l’effetto occupazionale positivo possa essere rammentato nei talk show adibiti assieme a una generica, generalizzata e grezza RIDUZIONE DELLE TASSE.
Forse sperano a Palazzo Chigi che, ripartendo il sistema Italia, l’occupazione possa crescere “da sola” e il consenso possa essere cercato altrove, dove è più facile, per poi consegnarsi a giugno nelle mani di elettori che non hanno dovuto pagare la stramaledetta tassa sulla casa. Sia chiaro sono solo ipotesi ma, come diceva la scatola nera (colore non casuale) d’Italia, “a pensar male si fa peccato ma non si sbaglia mai”.
Penna Bianca -ilmegafono.org
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