A Messina l’acqua è un problema, sia quella che scorre nelle condutture che riforniscono la città, sia quella che cade dal cielo, provocando disastri e frane. L’Italia se n’è accorta oggi, ma soltanto dopo che i cittadini messinesi hanno cominciato, attraverso la rete, a far arrivare la notizia in ogni parte del Paese. Perché altrimenti ne avremmo saputo poco o forse nulla, il governo avrebbe continuato a infischiarsene, i giornali pure, o magari se ne sarebbero occupati qualche ora o giorno, giusto il tempo di sputare sentenze sul Sud, sulla sua miseria, su quello che non funziona, sulla gente che si lamenta e poi accetta di vivacchiare in mezzo alla melma dei disservizi, delle disfunzioni ataviche, delle speculazioni. Perché quando si parla di Sud è chiaro che la verità viene sempre un bel po’ dopo lo stereotipo e se ti permetti di farla notare subito allora sei solo un estremista o un meridionalista ottuso.
Questa volta, però, non è andata così, il silenzio non ha vinto, la dignità dei messinesi e del loro sindaco ha prevalso. Lo scandalo rimane, certo, così come rimangono gli interrogativi e le accuse legittime riguardo alla passata e vergognosa gestione del sistema idrico, con in primis la questione dello scippo dell’Alcantara alla città, frutto di operazioni creative, regionali e locali, che, negli scorsi anni, hanno sbaragliato (e non solo a Messina) il sistema di gestione pubblica dell’acqua. Nel capoluogo dello Stretto, infatti, tra contenziosi e polemiche, un decennio fa si è scelto di favorire una commistione pubblico/privato che ha sottratto alla città una risorsa fondamentale, costringendola all’approvvigionamento da Fiumefreddo, con tutte le conseguenze oggi particolarmente visibili.
Come ha ben detto il sindaco Renato Accorinti, però, il problema qui non è soltanto il tubo o la condotta che non funziona e che da ormai quasi quindici giorni tiene in scacco i cittadini. Il problema più grave è un altro, lo stesso che da anni viene denunciato senza che i governi (regionale e nazionale) muovano un dito. Si chiama dissesto idrogeologico, qualcosa che attanaglia la provincia di Messina e tante altre province siciliane e italiane. Eppure i segnali funesti ci sono stati e con conseguenze più gravi del danneggiamento di una conduttura. Siamo sempre allo stesso punto: la memoria è il danno di questo Paese, così come è nociva l’indifferenza che la politica nazionale ostenta nei confronti del Sud. Basterebbe ricordare un solo nome: Giampilieri. Si potrebbe aggiungerne un altro: Scaletta Zanclea. E poi si potrebbero recitare a memoria una data (1° ottobre 2009) e dei dati (31 morti, più 6 dispersi, i cui resti non sono ancora stati ritrovati).
Quel giorno, a quanto pare, l’Italia lo ha vissuto distrattamente, i mass media si sono limitati a darne notizia, qualche giornalista dall’aria superba ci ha costruito qualche editoriale ridicolo e pieno di semplificazioni retoriche, dipingendo la popolazione come rassegnata, lamentosa, avvezza ai piagnistei, a differenza di altre, del Nord, che in situazioni simili sono scese in strada a spalare fango. L’Italia, in realtà, non ha mai saputo nulla della dignità di quei messinesi e dei cittadini di altre città siciliane accorsi sul luogo, impegnati in mezzo a fango e pioggia, giorno e notte, a spalare, a salvare vite umane, a tirar fuori i cadaveri, mentre il governo taceva, non si scomodava a inviare l’esercito o la protezione civile. Messina è stata lasciata sola, devastata dal fango e dalle parole velenose di chi riduceva tutto all’“abitudine” alle speculazioni edilizie. Anche dopo, nessuno, dai piani alti, si è premurato di far qualcosa per la ricostruzione.
Chi ha memoria, però, ricorda gli allarmi lanciati da alcuni esperti, che parlavano di dissesto idrogeologico, di rischio elevatissimo per Messina e anche per altre città (come Agrigento, ad esempio). Già nel 2007, quando la zona fu colpita da un’altra alluvione, l’allarme era stato lanciato, eppure la zona non era stata ugualmente inserita nell’elenco delle aree a rischio, nessuno aveva adottato misure né destinato fondi per la messa in sicurezza del territorio. In questi giorni, qualche pioggia ha nuovamente creato il panico, ha fatto smottare una collina e rotto una condotta idrica, la gente si è trovata senz’acqua, per colpa sia del dissesto idrogeologico del territorio che delle precedenti (e sciagurate) scelte fatte in tema di gestione idrica. La cittadinanza di Messina ha reagito con grande dignità, nonostante la stanchezza, la frustrazione, la rabbia. L’Italia, allora, si è in parte accorta che esiste il Sud operoso, che si dà da fare, ma che paga il prezzo di un miscuglio di colpe passate e presenti.
Che Renzi parli di “vergogna” è stucchevole. Non basta certo mandare (peraltro con colpevole ritardo) la Protezione civile sul luogo del disastro, per ripulirsi una coscienza assolutamente sporca. Così come è irritante Crocetta quando chiede pazienza ai messinesi e scarica su altri le responsabilità, come se la Regione fosse immune da colpe. Ripetiamo: il precedente di Giampilieri; dissesto idrogeologico diffuso; interventi uguali a zero. Bastano queste brevi didascalie a spiegare tutto. Non solo, ma c’è qualcos’altro che rende il governo regionale e quello nazionale corresponsabili (insieme a palazzinari, imprenditori “scaltri”, vecchi amministratori locali e gli immancabili giornalisti marchettari): la Sicilia, non solo Messina, andrebbe messa in sicurezza, non svenduta a progetti che rischiano di aumentarne in maniera irreversibile la fragilità.
Se si costruiscono leggi che autorizzano le trivellazioni petrolifere in mare e in terra, se si dà spazio smisurato al cemento nelle città e soprattutto nelle coste, se si distruggono le aree verdi e le zone ad alto valore ambientale per fare spazio a impianti, discariche, palazzi, resort, centri commerciali e altro ancora, poi non si può assolutamente urlare (magari su twitter) “vergogna” quando le colline smottano o intere città (e con esse le vite di chi ci vive) vengono cancellate dalle piogge. Un presidente della Regione che appoggia tutto questo, rifiutandosi persino di lasciare che sia la gente con un referendum a decidere se uccidere il proprio territorio e la propria salute oppure no, non dovrebbe avere nemmeno diritto di parola. O quantomeno dovrebbe avere la decenza di tacere e non fingere scoramento, rabbia, indignazione.
Quando chi governa, a Roma o a Palermo, pensa di creare sviluppo in Sicilia e al Sud attraverso le speculazioni o le “grandi opere” inutili e non prioritarie come il Ponte, per fare arricchire i soliti noti (o i meno noti che vi si nascondono dietro) e assicurarsi pacchetti di voti, invece di mettere in sicurezza il territorio, non può poi alzare le mani e dire che il danno è colpa altrui. Non può farlo, perché il sasso lanciato lascia le macchie di fango e letame che lo ricoprivano. E non c’è nemmeno più acqua per provare a sciacquarsele quelle mani.
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
Commenti recenti