Che l’elettorato di sinistra, ultimamente, sia disorientato è cosa nota. Almeno ciò vale per quella parte di elettori che credono nelle idee e in valori non negoziabili e che rifiutano i personalismi narcisistici di questo o quel presunto leader. La ricerca di un progetto che profumi di sinistra, andando fuori dagli artifici anacronistici dell’ideologia pura e richiamandosi a una visione del mondo ben definita, con priorità assolute e recinzioni non valicabili, è uno dei problemi di chi oggi non si sente rappresentato e non riesce a identificarsi con alcuna forza politica, sia dentro che fuori dal parlamento. “Se si andasse alle elezioni oggi non saprei per chi votare”, ti senti dire ogni volta che ti confronti sul tema.

E subito dopo capisci che ti trovi davanti tre tipologie di delusi: quelli incazzati che non andranno a votare e, non senza dolore, derogheranno a quel radicato senso di rispetto per i partigiani morti per consegnarci la democrazia e il diritto di voto; quelli schifati ma decisi a votare buttando la crocetta su qualsiasi forza, anche sotto l’1%, che somigli a qualcosa di sinistra (persino Ferrando potrebbe tornare utile); infine, quelli determinati e capaci di turarsi il naso e votare 5 stelle, passando oltre, seppur con un certo imbarazzo, alle deviazioni (e a certe alleanze) destrorse del Movimento su molti temi, primo su tutti l’immigrazione. In questo panorama frastagliato e inquieto, si affaccia adesso l’ennesimo “nuovo soggetto politico” sorto a sinistra, che si mostra già parecchio ambizioso, a partire dal nome scelto: Sinistra Italiana. Si tratta, ancora una volta, di un condominio, ossia di un insieme di forze o gruppi che si coagulano per costruire uno spazio alternativo alla maggioranza, cercando di pescare tra quegli elettori di area che, giustamente, si sentono lontanissimi dalle idee di Renzi.

Sinistra Italiana è, infatti, il risultato della convergenza tra Sinistra Ecologia e Libertà e i protagonisti della minoranza interna fuoriuscita dal Pd. Ancora una volta, dunque, si prova a uscire da una condizione di debolezza e minoranza disegnando un abito nuovo da indossare. Un’operazione che non convince, o meglio, a prima vista rischia di essere l’ennesimo progetto zoppo destinato a fallire. Non bisogna essere sociologi o politologi per individuare i punti deboli di questa ennesima creatura. A partire dalla perplessità di vedere Fassina e gli altri ex della minoranza Pd parlare della necessità di aprire uno spazio a sinistra in contrapposizione a un governo e a un Partito Democratico che gioca a fare la destra, come dimostrano Jobs Act, riforma della scuola, Italicum, riforme del Senato e della Rai. C’è qualcosa che non torna.

Per carità, a tutti è concesso di ravvedersi, di ripresentarsi in una veste nuova, di rivendicare la propria aperta e prolungata opposizione al renzismo e alla deriva del Pd. Quando Fassina attacca Renzi, ovviamente, siamo d’accordo, così come quando giudica male la via reazionaria, di rimando berlusconiano, imboccata dal PD. Sono evidenze difficili da smentire. Il punto però è un altro: Fassina dovrebbe spiegarci se il suo ormai ex partito, prima dell’avvento della “rottamazione”, fosse un giardino fiorito o soltanto un pezzo di terra un po’ meno grigio e tossico di quello che è divenuto adesso. Intendo dire che la svolta neoliberista, che Renzi ha estremizzato senza alcun pudore, risale ai remoti tempi dei Ds, quando a comandare erano altri, quelli che magari oggi si indignano ma che dell’oggi sono i genitori, i corresponsabili. Renzi è figlio degli errori di un gruppo dirigente che a Fassina evidentemente non dava alcun fastidio, così come non ne dava agli altri fuoriusciti.

Il Partito Democratico ha commesso errori politici enormi anche prima del renzismo, ne ha creato le condizioni, è lontano, sin dalla sua formazione, dall’essere forza di sinistra, non ha mai veramente difeso con convinzione il mondo del lavoro, i precari, i migranti, la scuola pubblica, la ricerca, non ha mai criticato e messo in discussione il modello economico dominante, anzi ha flirtato con le banche e con gli industriali, con la complicità silenziosa dei vari gruppi dirigenti di una CGIL mai veramente autonoma dal partito. Oggi, vorrei capire allora quale sia l’idea di sinistra dei fuoriusciti dal Pd. Perché ho molti dubbi sul fatto che essa coincida con quella di chi, con rabbia e dolore, si è visto scippare tutto il migliore patrimonio della storia della sinistra italiana (quella vera, che non aveva bisogno di scriverselo in un logo).

E vorrei comprendere anche quale sia l’idea di Sel, che, seppur mantenendo una certa coerenza, è altrettanto responsabile dello status quo, se non altro per la codardia e il narcisismo del suo leader (Vendola). Non mi è facile dimenticare quanto accaduto nel 2012, quando il caro Nichi, ingolosito dalle primarie e dalla possibilità di costruirsi una possibilità di governo con il Pd, ha rinunciato a una corsa solitaria che, con tutta probabilità, avrebbe dato a Sel una percentuale sufficiente a “contare” in parlamento e iniziare la costruzione di un’alternativa, raccogliendo tra l’altro il consenso dei tanti elettori delusi di sinistra e del Pd, che erano pronti a spostare il proprio voto verso l’allora governatore della Puglia. Il caso Ilva e l’inconsistenza del partito su molti territori nei quali i 5 stelle (tanto per citare uno dei principali canalizzatori dei voti di “delusione” e protesta che nel 2012 Vendola ha sperperato) hanno assunto più spessore e visibilità, hanno completato l’opera in termini di perdita di credibilità.

Cosa è allora questa nuova unione politica? Siamo davanti a un progetto a lungo termine che si costruirà gradualmente attraverso il lavoro condiviso, l’apertura e il coinvolgimento degli intellettuali, ma per una volta senza ossessioni elettorali, tabù, diktat, ostracismi, senza l’allergia alle critiche, senza ibridi concettuali che poi finiscano per partorire posizioni politiche ambigue e contraddittorie? O siamo semplicemente davanti a un soggetto nato (da due forze sconfitte, per colpe proprie) esclusivamente in funzione “anti”, con il solito vizietto del coagularsi attorno a un nemico comune piuttosto che a idee condivise, nella speranza di avere poi qualche ritorno elettorale?

In poche parole, si vuole davvero far risentire il profumo della sinistra in questa società diseguale o si punta semplicemente a compiere qualche vendetta e conquistare qualche pezzetto di potere a qualsiasi livello? Quel che è sicuro è che le divisioni sono già sorte. È bastato che Fassina non chiudesse alla possibilità di sostenere qualche candidato grillino, nel caso di duello con un candidato Pd, per scatenare dubbi e polemiche. E per far storcere il naso ai tanti che, da una nuova formazione che si propone di colmare il vuoto esistente a sinistra, non possono certo accettare forme di alleanza o di sostegno nei confronti di chi dalla sinistra, su moltissimi temi, è distante anni luce. Insomma, se il buongiorno si vede dal mattino… siamo al punto di partenza. Immobili.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org