Due esplosioni, 97 morti e una marcia per la pace. Questi gli estremi di quel che è successo pochi giorni fa ad Ankara, dove durante una pacifica manifestazione contro il conflitto tra stato turco e separatisti curdi, qualcuno ha pensato di metterci dell’esplosivo. “Attacco terroristico” è lo slogan del governo di Erdogan, a tre settimane dalle elezioni, all’interno di un clima elettorale che sembra far ghiacciare anche il petrolio per la freddezza delle mosse in atto. La manifestazione del 10 ottobre scorso nella capitale ottomana era ben altro che una semplice manifestazione pacifista. Tra gli attori che sfilavano tra le strade di Ankara si è vista una compagine molto unita tra il partito curdo, entrato in parlamento per la prima volta nella storia a giugno, e il partito democratico del popolo, filo curdo. Un gruppo unito e forte, per la pace e contro il conflitto che massacra il paese ottomano da troppi anni.
Come si fa, prima ancora di parlare di ISIS, a non pensare che la manifestazione in atto era l’attuazione pubblica di una coalizione democratica e progressista estremamente contrastante con la linea del governo di Erdogan (o se vogliamo Erdogas per ricordare i fatti di Gezy Park) e del suo partito? La sua consolidata posizione di favore nei confronti dell’occidente è più che risaputa e la facilità con cui si possono attribuire gli attentati all’ISIS fa sì che le tentazioni tendenti al complottismo, il solito complottismo, si facciano vive. Rispettando però quelli che sono i principi della ragione, che vanno rispettati anche da chi non fa giornalismo formale, non vogliamo qui dare risposte oltre la nostra soglia di ragione, appunto.
Erdogan è atteso da una durissima sfida elettorale e l’unione tra democratici filo curdi e curdi di certo non è di suo favore. Inoltre, i guai del Medio Oriente sono alle porte della Turchia e proprio il sultano turco è uno strenuo oppositore dell’ISIS oltre che interventista, cosa che in questo momento, a meno che tu non sia Putin, ti mette in buona luce con la Nato. Il premio Nobel, il celebre scrittore Pamuk, ha sollevato il rischio di una guerra civile. Gli estremi ci sono per via della frammentazione e della politica dittatoriale da parte del governo Erdogan. L’intreccio è oltre ogni intrigo ed è pieno di limiti teorici, innegabile è lo schieramento favorevole dell’attuale governo turco nei confronti dell’occidente anti-ISIS.
L’attuale situazione mondiale è fuori da ogni schema. Putin, con il suo discorso alle Nazioni Unite, ha dimostrato che in questo momento ha un forte controllo retorico della situazione globale. Il suo discorso ha sovrastato nettamente il classico export di democrazia proposto dagli americani tramite Obama. L’Isis prosegue nella sua lotta mediatica e se anche lo stato islamico faceva comodo agli USA, in quanto un nuovo nemico di Assad, essendoci una comunità internazionale, l’intervento russo, se pur pieno di interessi moscoviti, risulta essere più globalista che lo sterile finanziamento USA ai ribelli siriani, a loro volta vittime dei bombardamenti russi. Il quadro conflittuale è estremamente complesso e di certo i media non aiutano a render chiare le questioni per il cittadino medio, che resta costantemente vittima di campagne mediatiche estemporanee di stampo pacifista, ma poco scientifiche in termini politici.
Consapevoli del fatto di aver potuto dare una serie di informazioni valide per la comprensione del quadro totale, non resta che osservare le mosse dei colossi, dominatori dell’attuale scenario, nella speranza di poter avere colonne più solide sulle quali poter porre delle opinioni che si potrebbero rivelare necessarie anche per quel che è un eventuale coinvolgimento dell’Italia. Italia che per ora si limita a mandare qualche aereo in Medio Oriente per poter essere, come sempre, amica dei più forti.
Avventarsi tra i cunicoli del potere, cercando di essere meno vittime mediatiche e potersi concedere, se non un intervento diretto, per lo meno una degna comprensione delle cose, è nobile. Meno nobile sono le uccisioni che avvengono per via dei giochi del potere che restano nella storia. Per loro, uomini come noi, non ci restano che le parole di Alessandro Manzoni, colui che volle dar dignità alle moltitudini come loro, come quelli che oggi sono i morti di Ankara.
“[…] un’immensa moltitudine d’uomini, una serie di generazioni, che passa sulla terra, sulla sua terra, inosservata, senza lasciarci traccia, è un tristo ma importante fenomeno;”.
Italo Angelo Petrone -ilmegafono.org
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