A distanza di quasi due anni, la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, in collaborazione con i carabinieri e il dipartimento dei Ros, ha emesso due mandati di arresto nei confronti di Cosimo Donato e Faustino Campilongo, autori, secondo gli inquirenti, del terribile omicidio del piccolo Nicola “Cocò” Campolongo, il bambino di 3 anni trovato carbonizzato all’interno dell’auto del nonno in una contrada di campagna in provincia di Cosenza. Lo scorso anno, proprio su queste pagine, parlammo con commozione e rabbia di un orrore che fece rabbrividire tutti, esprimendo tutto il nostro bisogno di giustizia, nella speranza che si riuscissero a scovare presto quelle bestie che avevano commesso un reato simile. Questa settimana, finalmente, la magistratura sembra aver messo fine a una storia iniziata molto tempo prima di quel tragico 16 gennaio, ma che proprio da quel momento, proprio in quell’attimo terribile, diede il via a una serie di inchieste e di indagini senza sosta.
Per chi non ricordasse l’accaduto, a gennaio del 2014 vennero uccisi e poi bruciati all’interno di un’auto Giuseppe Iannicelli (vero obiettivo dei killer), la compagna 27enne Ibtissam Touss e il nipote, il piccolo Nicola, o meglio Cocò, come veniva chiamato affettuosamente da tutti. Cocò ha avuto contro di sé un destino a dir poco infelice sin dalla sua venuta al mondo: nascere all’interno di una famiglia mafiosa, infatti, lo ha messo sempre “in mezzo” a situazioni difficili, che nessun bambino dovrebbe trovarsi a vivere. Dopo gli arresti dei genitori, inoltre, il piccolo era stato affidato al nonno, Giuseppe, anch’egli invischiato in affari criminali, con un passato alle spalle fatto di spaccio di droga, violenza sessuale nei confronti della moglie e diversi arresti. Insomma, uno di quei background che nessun genitore coscienzioso vorrebbe donare ai propri figli.
Secondo i magistrati, Giuseppe Iannicelli avrebbe utilizzato il piccolo Cocò come un vero e proprio “scudo umano”, poiché era certo che niente e nessuno avrebbe osato colpirlo qualora fosse stato accompagnato dal bambino. Proprio per tale ragione, sembra che il nonno abbia portato con sé il nipote dappertutto, persino in occasione di incontri con spacciatori e criminali. Purtroppo, però, i tanto glorificati (e falsi) “valori” della criminalità organizzata sembrano essere rispettati soltanto in pochi casi.
Iannicelli, infatti, era da tanto tempo immerso nel mondo dello spaccio della droga (godeva pure di una certa fama nel cosentino), ma sembra che da qualche tempo avesse in mente di pentirsi. Per tale ragione, la cosca degli Abruzzese (altrimenti nota come quella degli “zingari”) avrebbe deciso di farlo fuori utilizzando due degli spacciatori più fidati dello stesso Iannicelli, vale a dire proprio Cosimo Donato e Faustino Campilongo. I due killer si sarebbero dati appuntamento con il nonno in un posto solitario e lì, infine, avrebbero compiuto l’orribile fatto.
Il motivo per cui, secondo gli inquirenti, sarebbe stato ucciso il piccolo è legato al fatto che lo stesso Cocò avrebbe potuto parlare e fare i nomi dei due uomini, poiché, nonostante la tenera età, era a conoscenza degli ambienti della famiglia e delle persone che vi giravano intorno. Insomma, altro che valori, altro che codici: le belve sono sempre belve e, quando si tratta di mantenere il silenzio più assoluto, non guardano in faccia nemmeno un bambino impaurito e innocente. Per fortuna, però, almeno in questo caso la verità è emersa e i due criminali (che già si trovano in carcere per estorsione) dovranno rispondere di accuse pesantissime e molto dure.
Il sorriso del piccolo Cocò resterà per sempre un’immagine scolpita dentro a una fotografia, mentre la giustizia, quella vera, è riuscita a trovare nomi e volti dei suoi boia e ad aprire uno squarcio su una realtà tremenda, quella nella quale i bambini non dovrebbero vivere. E tantomeno morire.
Giovambattista Dato -ilmegafono.org
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