Non ti conosco, non conosco il tuo vero nome, ma soltanto la tua età, quattordici anni, il colore della tua pelle e l’origine della tua famiglia (senegalese come molti dei miei amici più cari). So che hai subito ingiustizie in un luogo nel quale purtroppo, nonostante l’impegno di chi educa, il marcio del mondo adulto riesce a trovare spazio con la stessa vigliaccheria che caratterizza i razzisti e gli infami della nostra Italia. Mia e tua, che la vorremmo diversa, migliore, sin da bambini. Non ti conosco di persona, ma so che ami studiare, che sei bravissima, che la tua famiglia ha lo spirito fantastico e la dignità incantevole del Senegal. So che sei rimasta affascinata dal diritto e che vorresti trasformare questa passione nella professione che sogni da sempre: l’avvocato. Per questo obiettivo, mentre i tuoi compagni di classe, o una parte di loro, passano il tempo a insultarti e la restante parte assiste, inerme e quindi complice, a quegli insulti, tu non molli e continui a studiare, a imparare, ad alzare l’asticella dei tuoi sogni.

Perché tu conosci l’importanza di un sogno, probabilmente lo hai respirato in famiglia, dove ogni cosa è stata costruita con sacrificio e pazienza. Un tempo, anche l’Italia e gli italiani erano così: un popolo di lavoratori che sognava di migliorarsi e per far ciò partiva, lasciava tutto, portandosi dietro malinconia e capacità di sopportare. Ma quell’Italia lì, in gran parte, non esiste più. Quella in cui stai crescendo, purtroppo, è spietata, imbruttita, non ha voglia di attendere, vuole ottenere tutto con facilità, disprezza la vita semplice e insegue il benessere ottuso che si infila dentro oggetti, simboli, simulacri utili solo a indicare uno status, il più alto possibile sull’apposita scala, senza che poi si capisca bene in base a quali principi sia stata definita una gerarchia.

C’è chi dice che la colpa non sia dei ragazzi, di quei coetanei vermi che non hanno nemmeno il coraggio di uscire allo scoperto e che, dopo averti scritto lettere di ogni tipo, piene di razzismo e ignoranza, adesso si nascondono dietro sorrisi gentili e ipocrite manifestazioni di solidarietà. In realtà la colpa è anche loro, che hanno un cervello e una sensibilità per scegliere come comportarsi. Non fidarti, allora, degli strateghi della deresponsabilizzazione che puntano a sminuire le responsabilità dei tuoi persecutori, legandole ad una questione di età o definendole delle “bravate”.

Ho letto la lettera che hai mandato a Repubblica e mi ha rassicurato, perché hai scritto che quando saranno individuati i tuoi persecutori, li guarderai negli occhi e non li perdonerai, non accetterai le loro scuse tardive. Hai scritto di essere certa di essere migliore di loro interiormente e che loro non capiscono che ciò che conta sta dentro di noi e non fuori. Sei forte, tosta, orgogliosa, vali sicuramente molto più di loro e devi essere fiera anche di quello che sta fuori di te. La tua pelle nera li disturba? Sappi che in fondo sono solo invidiosi, altrimenti non si spiegherebbe l’usanza di passare le estati sdraiati al sole per cercare di somigliarti. Sono invidiosi anche della tua forza, della tua intelligenza, della tua bravura a scuola. E anche della tua famiglia, di un papà saggio che, con tono conciliante, va a parlare con loro di uguaglianza, di umanità, di amicizia.

Sono responsabili, ma è vero che non sono gli unici. Le colpe sono anche di altri. Sono di questo Paese crudele e rozzo, dei Salvini, Meloni, Borghezio e compagnia orrida che se costretta a sentire in tv o a leggere sui giornali o sul web, sono di tutte quelle famiglie nelle quali si vomita odio e di quegli individui minuscoli, inaciditi e frustrati da un senso di inferiorità che li terrorizza. Sai, quello che è successo a te a scuola, accade ogni giorno a migliaia di uomini e donne che sono appena arrivati in Italia o che vivono qui da anni. Succede nei posti di lavoro, per strada, negli autobus, dentro le case, nelle campagne, nelle questure e nei centri di “accoglienza”: storie di umanità e intelligenze meravigliose costrette a subire la violenza fisica o verbale di un gruppo sempre più nutrito di ignoranti, sporchi, frustrati, ipocriti, meschini cittadini italiani esaltati da una propaganda di ispirazione nazista che, una parte della mia categoria (ti chiedo scusa per loro), sta consapevolmente appoggiando e diffondendo.

Hai scritto che “ci sono sempre degli stupidi in mezzo al gruppo, e non bisogna condannare tutti, una scuola o addirittura un’intera città per colpa loro”. Vorrei risponderti che purtroppo quegli stupidi sono in pericoloso aumento e che stanno infettando le città, la politica, le scuole, l’Italia. Italiani infetti che quando gli dai del razzista si nascondono o reagiscono dandoti del buonista, semplicemente perché hai avuto la possibilità di incontrare un’umanità che soffre ma che, nonostante questo, riesce ancora a sperare e a guardare avanti. Ma voglio fidarmi di quel che dici, voglio credere che sia così come scrivi e cioè che si tratti solo di un gruppo di stupidi. Voglio fidarmi del tuo modo di ragionare, che è proprio di un essere umano dotato di cuore e cervello anche in situazioni nelle quali potrebbe facilmente vincere la rabbia.

A soli quattordici anni hai dato una lezione a tutti coloro che costruiscono odio generalizzato, etnicizzando qualsiasi vicenda umana. A soli quattordici anni hai messo davanti agli occhi degli ottusi di questa nazione la splendida determinazione di chi è costretto a faticare il doppio per farsi rispettare da un popolo di mostri, che disprezzano i figli degli altri, quelli che etichettano negativamente con un freddo “loro”, mentre amano i propri figli, quelli che appartengono ad un orgoglioso quanto stupido “noi”, e li difendono e coccolano anche quando andrebbero puniti e sputati in faccia, quando, in preda a droghe e alcool, investono degli innocenti, o quando ben vestiti e sorridenti perseguitano una compagna di scuola o stuprano una tassista.

Hai dato una lezione a tutti loro, ragazza, anche se non dobbiamo illuderci, perché sicuramente non la capiranno. Il loro complesso atavico non li salverà. Io però ti ringrazio, per le tue parole sagge e decise, per la tua intelligenza, per la tua speranza affidata al diritto, per il tuo sogno che ti prego di non abbandonare mai e per cui ti prego di lottare sempre, anche se ti trovassi sola contro tutti (ma sola non sarai mai). “Andrò ancora a scuola – scrivi alla fine della tua lettera – e studierò ancora più di prima. E continuerò a sentirmi sia senegalese che italiana”. Sei già tornata a scuola a sfidare tutti. Con la tua forza immensa, con le tue parole e con la tua storia hai già vinto. Riuscirai a diventare un grande avvocato. Ne sono certo.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org