Il rumore della violenza è un pugno diretto che colpisce allo stomaco, soprattutto quando è talmente spaventoso da riuscire a farsi spazio tra le dosi di orrore che la cronaca ci somministra quotidianamente e alle quali, forse, qualcuno si è talmente abituato da non prestarvi più troppa attenzione. Il rumore della violenza, dopo la prima reazione di rabbia, sconcerto, dolore, risveglia la tremenda consapevolezza che quell’orrore non è isolato, ma si compie ogni giorno, ogni ora, in chissà quanti sottoboschi e scantinati di questo Paese (e non solo). L’ennesimo atto del branco, l’ennesimo stupro di gruppo da parte di ragazzini ai danni di una minorenne ha “fatto notizia”, ci è stato raccontato, con la solita agghiacciante dinamica che è uno dei tanti marchi brutali di una società che odia le donne, le considera oggetto, proprietà da violare.

Ancora una volta ci si indigna per un paio di giorni, ci si interroga, si punta il dito un po’ a caso e si litiga con chi continua a trattare quel che è una violazione del corpo e della dignità, un omicidio dell’anima, come fosse una bravata, una roba da ragazzi, un eccesso nel quale la consapevolezza dell’atto violento viene presentata come minima, debole, perfino assente. Subito partono le velate e sottintese giustificazioni che fanno riferimento alla giovane età, alla stupidità da branco che spinge le volontà individuali sempre un po’ oltre i limiti. Poi seguono le discussioni sui valori, sull’educazione, su certi modelli che andrebbero modificati o vietati, e così via. Un penoso canovaccio che, alla fine, non porta a niente, a nessun cambiamento. Le chiacchiere sfumano e tutto torna a tacere, in attesa della prossima violenza di cui si avrà notizia.

Nel frattempo, però, nel cuore della vittima una valanga gelida prova a ghiacciare tutto, ma in quella superficie ghiacciata rimbombano le voci e tutti quei rumori che sono stati contorno dell’orrore subito, mentre la mente si riempie di immagini, di pensieri dolorosi e persino di irrazionali sensi di colpa (perché quando sei donna, anche se subisci, se sei vittima, qualcuno ti darà sempre qualche assurda colpa). Sono ferite mortali che non spariranno mai, rimarranno dentro per sempre, anche quando lottando con una forza gigantesca si riesce a venir fuori dall’incubo e a rituffarsi in una vita che riconsegni un po’ di normalità, di tregua e magari anche una ritrovata e sudata serenità.

E allora di cosa si parla ogni volta? Cosa c’è di più importante del dolore di chi subisce? Con quale coraggio si cerca di trovare attenuanti a quella che è pura violenza? I sassi dal cavalcavia forse potevano essere considerati una bravata idiota che procurava morte (respingendo comunque giustificazioni assurde che erano irrispettose nei confronti di chi sotto quei sassi ci aveva rimesso la vita), ma una violenza sessuale no. Non può esserlo. Uno stupro, che sia in branco o no, non è un gioco idiota o un tentativo di superare un limite, non è una bravata: è solo violenza ed è volontaria, consapevole, a qualsiasi età. I ragazzini che commettono certi scempi non sono degli ingenui, degli sprovveduti: sanno, sono coscienti, al contrario di come vuole farci credere qualche criminologo da talk show.

A 14-15 anni sai già cosa vuol dire consenso, rispetto dell’altro, violenza, prevaricazione. Se commetti un atto simile lo fai perché sei dentro a quella logica di sopraffazione, vedi l’altro sesso come un semplice oggetto, sei figlio di una cultura maschilista e crudele, di cui è certamente responsabile anche e soprattutto chi l’ha costruita e la promuove e diffonde, ma di cui sicuramente tu sei pienamente e coscientemente complice. E altrettanto responsabile. È vero che l’assenza di una educazione al rispetto delle donne, la disarmante nobilitazione di esempi negativi, la minimizzazione di ciò che è molestia, l’assorbimento di concezioni e mentalità che continuano a dipingere la donna come qualcosa da possedere anche contro la sua volontà, da tormentare o massacrare in totale impunità, sono le precondizioni per l’attuazione della violenza.

Sono elementi sui quali abbiamo scritto spesso, urgenze delle quali nessuno, sul piano istituzionale, si occupa, priorità sulle quali nemmeno inizia una riflessione preparatoria a interventi normativi, educativi, sociali. Detto questo, però, evitiamo di trasformare la sociologia in un alibi. Evitiamo di trovare per forza influenze esterne a ogni atto di violenza, perché c’è anche qualcosa che risiede nella crudeltà dei maschi e che non ha attenuanti. Proviamo per una volta a concentrarci solo su chi si trova ad esserne vittima, a pensare che queste vittime sono tante, sono migliaia e la maggior parte di loro non finisce nelle denunce ai carabinieri o alla polizia, né tanto meno sui giornali o sul fascicolo di un magistrato.

Sono donne, di qualsiasi età e provenienza, imprigionate nelle case contigue alle nostre, nelle famiglie dalla facciata pulita, tra le grinfie di branchi che faranno paura per sempre, nelle minacce continue, nelle gabbie ossessive di fidanzati, amici, mariti, ex mariti che si ritengono legittimati a violentare, forzare, uccidere, cancellare, dare fuoco o perfino a far esplodere una palazzina pur di non perdere il loro perverso “diritto di proprietà”. Queste donne, bersaglio reale o potenziale, vivono accanto a noi, possono essere le nostre compagne, figlie, sorelle, cugine, nipoti, zie, madri, amiche, possono finire in un attimo nel mirino di una crudeltà che si nutre di impunità, quella stessa impunità che le attenuanti e le minimizzazioni aiutano a rafforzare.

Cominciamo allora da qui, dal non essere complici di questa pericolosa tendenza, dal pretendere che chiunque compia una violenza simile paghi, anche quando è minorenne. Cominciamo a pretendere (con leggi e misure drastiche) che uno stupratore minorenne non torni, come invece accade, dopo una denuncia, qualche giorno di cella (quando va bene) e una ramanzina, dai genitori quasi sempre disposti a perdonare, a credere alla inconsapevolezza finta di un mostro che potrebbe ripetersi. Perché quel mostro nasconderà per sempre, sotto un falso pentimento, il ghigno sprezzante dell’impunito. E altre donne potrebbero farne le spese.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org