Una mera questione di numeri, nel pieno di una concezione che ben si sposa con il mercato, compreso quello dell’informazione: questo è l’elemento distintivo di ciò che è notizia e di una centralità che possa generare indignazione o, più semplicemente, emozione. Quaranta. Un numero che non vuol dir nulla, non troppo basso ma nemmeno troppo alto. Un numero riferito, non accertato direttamente, perché non è mai possibile essere certi che siano invece trentacinque o cinquanta. Ma che importa? Tanto non si avvicinerà mai a ottocento, trecentocinquanta, duecento. Sta tutta lì, in quelle cifre l’unità di misura dell’interesse e dell’umana pietà, del senso di tragedia. L’Italia è rapidamente passata oltre, distratta dalla sterile dialettica politica e da temi lontani dalle priorità del Paese, ma ciò non vuol dire che le cose siano cambiate e che in mare, nel Mediterraneo, tutto sia finito.
Tutt’altro. Si continua a morire, i barconi stracolmi di migranti affrontano il destino e le onde, chiedono aiuto, vengono soccorsi o vanno alla deriva, si trasformano in macellerie dell’esistenza umana, lasciando scivolare in mare gli “scarti”, quelli che l’Europa vorrebbe fermare in Libia, rinchiudere fuori dalla società della “prima scelta”, della carne selezionata a cui è concesso il privilegio del benessere o dell’opportunità. Si muore ma non fa più notizia, perché i morti, a quanto riferiscono i sopravvissuti, sono circa (o almeno) quaranta. Di cadaveri a Catania ne sono arrivati cinque, ancor meno di quaranta, troppo pochi per meritare attenzione. Abbiamo bisogno dei grandi numeri per ricevere un pugno allo stomaco, per sperare che la politica volga lo sguardo al Mediterraneo, anche se forse, viste le idee e le soluzioni proposte, ti sembra quasi più onesta l’indifferenza.
Ottocento è un’enormità, certo, ma quaranta vite o cinque o due non hanno tutte diritto allo stesso tremendo senso di tragedia e di dolore? Chi o cosa stabilisce se la morte di due esseri umani vale meno di quella di ottocento o cinquanta o trenta? Se quelle cinque salme sbarcate a Catania fossero di vostri amici o parenti, non pretendereste attenzione, rabbia, soluzioni immediate, giustizia? Non la chiamereste strage? O dovrebbero sterminare il vostro intero quartiere prima di sentirvi addolorati e ricevere attenzione? Siamo freddi perché i piccoli numeri li consideriamo storie lontane, in senso ampio, geografico ma anche di vissuto, come se non esistessero lacrime al di là della sponda, dove altri migranti sono già in viaggio e stanno passando il deserto, aggirando, con la bocca arsa e gli occhi socchiusi, i resti di chi quel passaggio l’ha concluso con la faccia dentro la sabbia.
Questo è quello che non capirò mai, questa smania della quantità, della soglia a cui fissare la sveglia della nostra indignazione. Sembra quasi che i piccoli numeri siano vestiti da abitudine, incidenti che ormai sono all’ordine del giorno, accettabili, inevitabili, meno fastidiosi per le nostre coscienze perché più facili da tacere, mentre le grandi quantità fanno rumore, costringono a interessarsi di loro, impediscono di far finta di nulla. Ma questo è il conteggio cinico, spietato di chi mette a mercato anche le sciagure e ci gioca per costruire le agende, a seconda che serva o meno in quel momento, a seconda che possano produrre più o meno profitto. A questo stanno abituando tutti: a lasciare che prevalga il quanto e non il cosa e, soprattutto, le cause profonde di quel “cosa”.
Stiamo dando i numeri e sostituendoli ai sentimenti e all’umanità, che dovrebbero e potrebbero guidare l’azione. In questo senso, allora, una delle poche speranze è che la proposta lanciata su L’Espresso da quattro preti (Ciotti, Colmegna, Rigoldi e Zanotelli), relativamente alla possibilità per il Vaticano di creare un proprio canale umanitario rilasciando visti di ingresso e permettendo ai richiedenti asilo di raggiungere in aereo e regolarmente i paesi desiderati, incontri davvero l’interesse di Bergoglio, come annunciato dal presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti, cardinal Antonio Maria Vegliò, con l’obiettivo primario di assicurare “la tutela della vita umana, la salvaguardia e la promozione della centralità e della dignità di ogni essere umano”.
Indipendentemente dai numeri, che con la vita e la dignità non dovrebbero avere a che fare. Non in questa maniera distorta e crudele. Perché non esistono cifre che possano classificare il grado di attenzione e di dolore per una tragedia infinita e quotidiana. Chi sostiene che questa sia utopia e che l’informazione e la politica rispondano ad altre logiche, a criteri razionali e freddi, farebbe meglio a guardarsi attorno e assicurarsi di avere ancora un cuore, due gambe, due braccia, due occhi e una carta di identità in tasca. Dovrebbe guardarsi bene allo specchio, non sia mai che possa accorgersi, per dirla con De Andrè, di essersi mutato in “una specie di cinghiale laureato in matematica pura”.
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
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