Sono tante le cose che andrebbero dette, le risposte che andrebbero date, con incessante dedizione, alle innumerevoli bugie, agli oltraggiosi sillogismi, agli stucchevoli rimpalli e agli immorali sproloqui che tutti, politici, giornalisti, avventurieri del web, cittadini e persino sportivi italiani vomitano sul tema dell’immigrazione. Ci vorrebbe molta pazienza e la voglia di lasciarsi invischiare in continui contraddittori con gente priva di onestà intellettuale e dal quoziente intellettivo rarefatto o inquinato da una sottocultura che, grazie alla crisi economica e politica e alla fiorente industria della paura, si sta diffondendo ad ampio raggio. È bastato l’ennesimo naufragio, con i morti di freddo e le centinaia di dispersi, a riproporre lo schema pietoso dell’ottobre 2013, quando la retorica si mutava, in un attimo, in scarico di responsabilità verso altri colpevoli, lasciando poi spazio a un rumore politico che non rispetta mai nemmeno il doveroso silenzio del dolore umano.
Si ode così, ancora, la voce sciagurata degli avvoltoi che imprecano e accusano, sperando che nessuno faccia notare che essi sono gli stessi che avevano chiesto e appoggiato la chiusura dell’operazione Mare Nostrum, quella che di vite umane ne aveva comunque salvate tante, oppure che sono gli stessi sulla cui storia politica grava la paternità di normative disumane e di lacune mortifere. Si annusa la pochezza imbarazzante di un governo che, da quando è in sella, non ha nemmeno per un istante pensato che questo Paese dovesse finalmente assumersi la responsabilità di fare sul serio la propria parte. Poi ci sono gli sciacalli umani, la specie peggiore, quelli che ancora parlano di invasione e propongono respingimenti, quelli che nemmeno con venti felpe addosso riuscirebbero a nascondere la sporcizia e il fetore di vuoto marcio che promana dal loro petto.
A quanti bisognerebbe rispondere? A quanti bisognerebbe contrapporre spietatamente dati, storie, immagini? È tempo perso. Solo la storia, con il suo scorrere implacabile, potrà metterli a tacere. Ma a quale prezzo? Quanta gente ancora dovrà morire in mezzo al mare per educarci all’umanità, per farci pensare fuori dal pietismo del momento, per farci guardare all’oggi, ai vivi, a coloro che devono ancora partire e a coloro che sono già arrivati? Il dibattito non esiste, è solo un agglomerato di frasi a effetto, annunci, dietrologie, capri espiatori, oppure di insulti ai pochi valori umani che ancora resistono e che dovrebbero essere comuni. Da un lato, c’è chi continua a proporre soluzioni generiche (i corridoi umanitari attraverso le ambasciate, senza però approfondire e studiarne la fattibilità e gli ostacoli) o perfino passate aberrazioni (accordi con la Libia per il controllo delle frontiere) oggi ancor più insensate, a patto che un senso lo abbiano mai avuto.
Dall’altro lato, l’ignoranza, la crudeltà, l’infima bassezza morale di italiani che ingoiano qualsiasi pastone demagogico e populista offerto dallo spacciatore di turno. In pochi giorni, nonostante il dolore, la terribile nuova tragedia, si è tornati al clima dei giorni dei fatti di Tor Sapienza. La lezione delle inchieste, che hanno smascherato il sistema di gestione illegale da parte degli stessi protagonisti che aizzavano quelle folle burine, è già stata dimenticata. Il focolare razzista ha ripreso vigore. E si nutre del gas che mass media e politica producono ogni giorno. Si è arrivati perfino a far passare nuovamente l’idea che i terroristi, adesso va di moda l’IS (o Isis, come dice il popolo), vengano dalla Libia attraverso i barconi.
Una sorta di originale cambio di strategia dei fondamentalisti (fondamentalisti di cosa non si capisce, di certo non islamici, visto che ad essere massacrati sono anche i musulmani), sulla base di una logica ancor più contorta del normale: cercare il martirio in Europa, ma evidentemente con la possibilità di accontentarsi di metterlo in atto in mezzo al mare, senza nemmeno bisogno di esplosivo, semplicemente affondando insieme a dei disperati. Siamo all’assurdo. Ed è ancora più assurdo che qualcuno, anche sui giornali e in tv, si presti a questa devastazione della realtà, a una pietosa decomposizione della verità.
In mezzo a tutto ciò, facciamo ancora i conti anche con il razzismo da bar, con la stupidità umana. Quella di un preside friulano che, invece di educare gli studenti al rispetto delle altre culture, vieta l’utilizzo del velo in classe di una studentessa musulmana per paura che ciò possa fomentare il razzismo. Una resa all’ignoranza che ad un rappresentante della pubblica istruzione non dovrebbe essere consentita. Oppure quella di un allenatore di calcio, per il quale il problema del calcio italiano non è la corruzione o il dominio degli interessi commerciali, ma la presenza di giocatori neri nelle giovanili, poco importa se nelle giovanili ci siano anche tanti stranieri dalla pelle bianca e dal capello biondo e poco importa se molti dei giocatori dalla pelle nera siano italiani.
Sono solo due esempi della piccolezza di questo Paese, nel quale migliaia di persone continuano a lamentarsi degli immigrati “che rubano il lavoro a noi e ai nostri figli”, ma poi stanno a casa, non cercano, si deprimono oppure, nel caso dei genitori, si coccolano i figli che rifiutano impieghi non all’altezza delle loro aspettative, che sempre più spesso disertano le campagne e i cantieri edili, i bagni pubblici, le cucine dei ristoranti, le case degli anziani, le case e le scale da pulire, i mercati ortofrutticoli e così via.
Cosa c’è allora da rispondere? Quanto tempo è giusto perdere con chi non fa altro che scaricare sugli altri, sempre su qualcuno o qualcosa di esterno, le proprie mancanze e i propri fallimenti? Non più del tempo necessario per sfogarsi. Perché c’è un momento nel quale ripetere sempre le stesse cose diventa snervante. Forse il politico dei nostri tempi, il giornalista ottuso o il cialtrone frustrato da tastiera possono farlo, perché in fondo ci sguazzano, ciascuno per motivi differenti, dentro le ridondanze della società bugiarda nella quale viviamo. Ma chi conserva ancora un briciolo di senso della realtà, a volte, sceglie di tacere e fa meglio a non andargli dietro continuamente, a lasciare che il gregge drogato si disperda e vada a sbattere da solo contro i duri recinti dell’ovile del tempo che ne cancellerà le tracce.
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
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