Ogni volta che qualcuno afferma che i giovani di oggi sono peggiori di quelli di ieri, irresponsabili e superficiali, quindi colpevoli della loro condizione di precarietà, prendo la penna e faccio una tacca sul muro della mia memoria. Conto e riconto le innumerevoli volte che dichiarazioni di tal genere sono state fatte, producendo mattoncini utili a edificare una categoria ben recintata e messa a disposizione del facile consenso popolare. Questo viene compiuto pubblicamente, da chi governa o governava, ma anche nel privato quotidiano, nei bar, dentro gli autobus, per strada, nelle discussioni che capita di fare con chi la pensa così. Nessuno che riesca a uscire dalla logica dell’etichetta, dai confini di una categoria che in realtà, fuori dal comodo stereotipo, non esiste e non è mai esistita. Identificare per bene una massa di individui con i propri vissuti, le proprie idee, le ansie per un tempo difficile e precario, è impossibile.
Certo, è vero che anche i giovani di ieri hanno dovuto conquistarsi uno spazio e lo hanno fatto attivamente (non tutti con coscienza, molti si sono semplicemente agganciati al treno degli altri), assumendosi delle responsabilità, ma erano tempi nei quali esistevano delle sponde culturali e politiche che oggi sono devastate o assenti. E il mercato del lavoro veniva sollecitato e modificato dall’azione intensiva di sindacati che non rinunciavano mai alla lotta. Per questo il paragone non regge. Oggi leggiamo di lavoratori giovani e qualificati che vanno all’estero “perché lì ti assumono” (pochi giorni fa si è parlato dei 2000 medici che vanno via dall’Italia ogni anno), altri che si mettono in fila in più di 220mila per 5mila posti che vengono selezionati con criteri discutibili e spesso senza una precisazione sulla paga e sulle ore di lavoro da svolgere (vedi il caso Expo).
Chi politicamente si è presentato come la novità, come il rappresentante della volontà di svecchiare il Paese e ridare ai giovani la propria collocazione, oggi ha tolto la maschera e mostrato la sua pochezza. La logica della rottamazione che ha prevalso si è infatti rivelata, come previsto, fasulla e fuorviante, perché non poneva un problema generale risolvibile anche attraverso il confronto con chi, tra i “vecchi”, poteva dare il proprio contributo e la propria competenza verso un rinnovamento vero che aprisse spazi importanti per tutti. La rottamazione renziana era semplicemente una strategia di conquista del primato dentro un partito e del potere in generale. Il risultato, pessimo, è evidente, o almeno lo è per chi ha coscienza critica e legge e studia i provvedimenti che il governo “giovane” sta adottando e che colpiscono negativamente proprio tantissimi giovani, lavoratori, precari, studenti.
Quella che Renzi sta mettendo in atto è una svolta autoritaria che trova nel centrodestra e in Berlusconi (ossia nel “vecchio sistema” che diceva di voler rottamare) un valido alleato. Quanto accaduto in Senato con la votazione sull’Italicum e il sì all’emendamento Esposito è la prova che di giovane questo governo (e il mosaico politico che lo compone) ha solo qualche faccia, perché per il resto altro non fa che riproporre sistemi di gestione del potere basati su meccanismi antichi e, purtroppo, “tipici” della storia italiana. La tanto sbandierata rottamazione, trasformata dal suo protagonista in fotografia del mondo giovanile più positivo e illuminato, quello che contrasta lo stereotipo del disimpegno, della superficialità o della rassegnazione, insomma del famigerato “bamboccione”, si frantuma dinnanzi alle misure adottate, al jobs act, alle tutele crescenti (ossia ai diritti che, forse, verranno), al progetto di riforma dell’istruzione, ma soprattutto dinnanzi all’impreparazione e all’incompetenza delle facce che pretendono di rappresentare il cambiamento.
I giovani, dunque, in qualsiasi modo si voglia tentar di contenerli in un recinto linguistico o in una fisionomia materiale, sono un universo indefinibile che non può certo essere rappresentato dalla Madia o dalla Picierno, né da Renzi. Non da chi improvvisa competenze che non ha, perché manca di gavetta, di apprendimento, di impegno sociale. I giovani non sono nemmeno quelli che, con perfetta puntualità, i mass media spesso ci mostrano, con toni terrificanti, come fossero una mostruosa massa pronta a compiere qualsiasi nefandezza, tra un acido in discoteca, uno stupro di gruppo e una bravata finita male. Certo, ci sono anche questi, ci sono anche le mostruosità che diventano sempre più orribili in un tempo nel quale il valore della vita umana e della dignità sembra essere ridotto al minimo. Però vorrei che si dicesse che i giovani sono soprattutto altri. E che sono la maggioranza. Magari non saranno tutti politicamente impegnati, tutti informati sulle vicende partitiche, sulla minoranza Pd, sul Nazareno, ma ci sono centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi che combattono una battaglia quotidiana.
Persone che studiano, si specializzano, si formano costantemente e hanno come premio un contratto a progetto (quando va bene) o uno stage non pagato. Ci sono professionalità e talenti che potrebbero arricchire il sapere di una struttura universitaria o incrementare il valore della ricerca e invece rimangono fuori, schiacciati dalle baronie, dai clientelismi, estromessi da sistemi che a volte non hanno nemmeno la possibilità di combattere. Poi ci sono quelli che, come detto, se ne vanno, che emigrano all’estero, perché non ne possono più (e hanno nomi e cognomi, voci, volti, qualifiche importanti, molto spesso storie piene di amarezza e frustrazione). Infine ci sono quelli che provano a far qualcosa, da soli, a mettersi in proprio, a sfruttare le proprie competenze per crearsi un’attività autonoma. Giovani che lavorano e che sono ostacolati da altri giovani che governano il Paese, i quali hanno pensato, ad esempio, di colpire le partite IVA, di rendere meno conveniente la scelta di lavorare per sé stessi.
Tutto ciò non ha una logica e regala l’amaro sapore della beffa. Conferma che tutti i discorsi sull’universo giovanile, inquadrato come una categoria omogenea e tendenzialmente negativa (come è sempre stato) o entusiasticamente positiva (come qualcuno sostiene), sono insensati, parziali e finalizzati a tenere sempre più chiusi gli spazi per l’affermazione di chi, tra di loro, prova a farsi avanti esclusivamente con il proprio merito e le proprie abilità. Spazi che altri giovani hanno conquistato aderendo ai modelli vecchi, utilizzando gli stessi strumenti che la politica degli ultimi venti anni ha conservato gelosamente, sperando di poter così mantenere il proprio potere. Allora il punto è che sull’universo giovanile bisogna cominciare a far chiarezza, smettendo di demonizzarlo oppure, al contrario, di vantarlo a prescindere.
Bisogna smettere di fare i soliti discorsi indirizzati a un gruppo che non esiste e cominciare, in questo Paese, a dare precedenza a chi ha capacità, al merito, all’iniziativa, senza far confusione e senza preclusioni anagrafiche. Perché se oggi guardo Renzi mi viene perfino nostalgia di Bersani, con tutti i limiti che ho sempre riconosciuto all’ex segretario Pd. Perché non sempre i giovani pensano ai giovani e perché va detto che la competenza e la democraticità non sono doti legate all’età o all’appartenenza a una categoria anagrafica, ma al valore intrinseco di un individuo. E i valori o ce li hai o non ce li hai. Non li puoi comprare né farteli regalare da qualcuno.
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
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