Ci risiamo. Ancora crisi, ancora mobilità forzate e ancora lavoratori lasciati in balìa di un destino non esattamente chiaro e delineato. Il clima economico degli ultimi anni non lascia molto alle parole, sono i fatti a suscitare lo sconcerto più profondo, tra licenziamenti e imprese chiuse si comprende la misura critica di quella che a buon diritto si può definire come una grande emergenza: nei primi nove mesi del 2014 sono fallite ben 11103 imprese, con una media di 61 chiusure al giorno, sabato e festivi esclusi. Una cifra che diventa assai preoccupante se si somma alle stime degli anni precedenti, considerando che dal 2009 ad oggi si calcolano più di 70000 imprese ridotte al fallimento. Il coltello avvelenato gira assai violento nella piaga della grande distribuzione, tra i settori maggiormente colpiti dal fantasma sanguinario della crisi. Secondo la Cisl, i grandi magazzini ed ipermercati hanno inizialmente retto il colpo, ma la musica sta cambiando in negativo: gli addetti sarebbero oltre 400 in meno negli ultimi due anni, con un aumento degli spazi occupati e una drastica diminuzione dei posti di lavoro. A pagarne le conseguenze, per l’appunto, i lavoratori impiegati nei grandi esercizi commerciali, trattati quasi come merce di scambio in un contesto sempre meno propenso ad attribuire importanza alla dimensione umana del lavoro.
È quanto sta succedendo, ad esempio, nell’entroterra napoletano, a Cardito, dove sorge il Centro Commerciale “La Masseria”, un complesso che ospita un supermercato i cui lavoratori stanno da tempo lottando per chiedere maggiore chiarezza e dignità. La parabola dei dipendenti de “La Masseria” inizia lo scorso agosto, quando Credendino, vecchio titolare dell’azienda, ha firmato con la Ventrone srl un accordo di fitto di ramo aziendale che tuttavia non prevedeva il passaggio dei cinquantacinque lavoratori impiegati nella struttura. Il nuovo titolare era intenzionato ad assumerne soltanto una parte, tutti gli altri sarebbero stati destinati ad altre strutture disseminate nella provincia di Caserta, tra Marcianise, Capodrise e Capua. Le motivazioni addotte facevano riferimento ad un presunto esubero di lavoratori per il solo centro commerciale di Cardito, ma, seguendo una turnazione sindacale per una superficie di circa 2000 metri quadri, il numero di impiegati risulta anche esiguo. L’esubero, secondo le testimonianze dei lavoratori, scatterebbe alle condizioni imposte dai nuovi titolari: 10-12 ore di lavoro e paghe differenziate a seconda del genere dei dipendenti, 800 euro per gli uomini e 500 per le donne. La risposta dei lavoratori si è tradotta in sciopero, complici anche stipendi arretrati, tredicesime e quattordicesime risalenti a due anni addietro.
Dopo un accordo iniziale stipulato a metà settembre con la promessa di pagamenti, grazie al quale i lavoratori hanno interrotto la protesta, si è tornati al punto di partenza visto che, a quanto pare, la ditta non avrebbe rispettato gli accordi. Nelle settimane successive si sono alternati momenti di tensione e controlli delle forze dell’ordine, dubbi sulla sicurezza dello stabile in seguito all’occupazione dei lavoratori, che, inascoltati, hanno deciso di ricorrere a quest’ultimo escamotage per attirare l’attenzione anche delle istituzioni, apparentemente sopite. Vi sono state diverse trattative, tra le quali si ricorda un “dialogo” in territorio neutrale, a Casoria, ma la situazione continua a versare nello stallo più totale, con l’aggravante di stipendi arretrati e famiglie sull’orlo della crisi.
I rapporti con il precedente proprietario sono stati sempre buoni, come asseriscono i dipendenti, che descrivono Credendino come un datore di lavoro presente e attento. Agli albori della bagarre aveva chiarito loro che firmare una mobilità volontaria avrebbe poi indotto il nuovo proprietario ad assumerli sempre nella medesima struttura, un accordo verbale che, per l’appunto, non si mostrava obbligatorio. In un’intervista rilasciata lo scorso settembre, Credendino continuava a sostenere di voler soltanto agevolare i suoi vecchi dipendenti, inconsapevole, forse, di una situazione che il clima rovente della crisi avrebbe fatto precipitare.
La nuova dirigenza, non è stata a guardare, esprimendo l’obbligo di scusarsi con la cittadinanza. In un volantino rilasciato dai vertici de “La Masseria” in ottobre, tuttavia, si legge che le intenzioni dei nuovi proprietari sono ottime e che non si è mai parlato di 12 ore di lavoro obbligatorio, affermando inoltre di voler assorbire i lavoratori in altre strutture facenti capo allo stesso gruppo.
Una situazione che rispecchia un malessere generale ormai diffuso in tutto il paese, un vortice in cui il conto più salato si presenta dritto al cospetto del lavoratore, che ormai non ne può più.
Laura Olivazzi -ilmegafono.org
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