Indignazione, rabbia, delusione, amarezza sono le reazioni istintive, a caldo, che molti cittadini, intere comunità locali e anche molte istituzioni in tanti territori d’Italia, hanno avuto di fronte alle scelte di Renzi e del suo governo. Con il decreto Sblocca Italia, come abbiamo già ampiamente scritto, il governo e la maggioranza che lo sostiene, hanno scoperchiato il vaso di Pandora, consegnando l’Italia agli speculatori, agli inquinatori e ai famelici mastini delle compagnie petrolifere. Le esemplificazioni dei controlli, contenute nella legge, in un paese dove il malaffare sfrutta da tempo le carenze e spesso le complicità del sistema tecnico-burocratico, potranno consentire a molti imprenditori spregiudicati ottimi affari. Non sono affermazioni ma corrispondono in larga parte ai contenuti della nuova legge di conversione del decreto 133/2014. Tra gli atti più autoritari e devastanti, i contenuti della scelta energetica (artt. 36-37-38) e la decisione della corsa generalizzata alla ricerca di gas e petrolio in un territorio fragile, ricco di bellezze naturali e di un vasto patrimonio culturale, e in tutti i mari italiani; primo fra tutti l’area marina del Canale di Sicilia.

Mentre alcune regioni (le Marche, gli Abruzzi, la Puglia, la stessa regione Lombardia) hanno preannunciato l’impugnativa dell’art. 38 davanti alla Corte Costituzionale, in Sicilia, il presidente della Regione, Rosario Crocetta, in perfetta simbiosi con le logiche renziane, ha consegnato la nostra isola all’aggressione degli industriali dell’upstream (la completa attività di ricerca, sfruttamento e commercializzazione di petrolio e gas), con l’accordo siglato il giugno scorso con l’Assomineraria, l’Eni e la società Irminio srl. Lo ha fatto senza tenere in alcun conto le posizioni contrarie espresse dall’associazione dei comuni siciliani, dalle delibere di decine di consigli comunali, che chiedevano anche di impugnare l’art. 38 davanti alla Corte Costituzionale. Cadute nel vuoto anche le denuncie documentate delle associazioni ambientaliste (Legambiente, Wwf, comitati No triv e altri) e di Greenpeace sui gravi rischi per l’ecosistema, per il turismo e per le attività della pesca di un programma di prospezioni e di trivellazioni nel mare del Canale di Sicilia.

Il comportamento di Crocetta è reso ancora più grave dalla sua rabbiosa reazione di fronte all’approvazione, nei giorni scorsi all’Ars, di un ordine del giorno che impegna il governo a sospendere tutte le autorizzazioni di ricerca e coltivazione di idrocarburi e di campi geotermici in corso di Valutazione di impatto ambientale o già rilasciate. Per quanto accade non basta più l’indignazione ma serve un duro attacco contro posizioni che si scontrano con gli interessi reali delle popolazioni e con la salvaguardia e il potenziamento delle attività economiche dei territori. Il presidente Crocetta, nel momento in cui afferma, come ha fatto in diverse interviste, che le trivelle non inquinano (dimostrando o “incompetenza” o espediente dialettico) e che “l’oro nero” va sfruttato ovunque vi siano giacimenti, mette a nudo una logica vetero industriale e una sprezzante ripulsa di ogni motivazione documentata che proviene dal mondo scientifico e dagli innumerevoli analitici dossier del mondo ambientalista.

Definire, come ha fatto, coloro che si battono per uno sviluppo ecosostenibile in contrasto con le energie fossili, che inquinano e distruggono l’ambiente e mettono a repentaglio la salute delle persone, “spaventapasseri e finti ambientalisti” è il segno di una concezione volgare e aberrante.

È sconcertante scoprire che un uomo come Rosario Crocetta che, da sindaco di Gela, con coraggio e tenacia ha combattuto a viso aperto le cosche mafiose e i fiancheggiatori che nelle istituzioni favorivano i loro affari e il loro malsano potere intimidatorio, stia dimostrando da presidente della regione di avere una rudimentale visione delle vere necessità di un territorio che merita un futuro molto diverso e più in sintonia con i bisogni reali delle popolazioni e delle sue peculiarità produttive. Sbandierare l’accordo dell’ottobre scorso con l’Eni, per la riconversione della raffineria di Gela in un impianto Green per la produzione di bio carburanti, come il successo per aprire un nuovo orizzonte ecosostenibile appare una mistificazione.

Leggendo i contenuti, si ha la sensazione di essere di fronte a un baratto. I due miliardi di investimento dell’Eni sono strettamente collegati alla piena concessione alla società petrolifera delle attività di ricerca e di trivellazione in mare del programma “off-shore ibleo” (due perforazioni esplorative, sei pozzi di produzione commerciale, oltre ad oleodotti, collettori e una nuova piattaforma, la Prezioso K, a 5,6 miglia nautiche dalla costa). L’Eni salverebbe così i posti di lavoro ottenendo grandi vantaggi solo per la sua politica prevalente nel settore dell’upstream. Poco importano gli effetti che tutto ciò produrrebbe sull’ambiente marino e sulle aree costiere non solo di Gela ma anche di Licata. Ma la folgorazione “dell’oro nero” che ha colpito la mente del presidente Crocetta è ancora più estesa. Con l’accordo del giugno scorso, coadiuvato dal confindustriale assessore alle attività produttive, Linda Vancheri, ha consegnato l’isola non solo agli appetiti dell’Eni, ma anche ai programmi aggressivi di perforazioni dell’Assomineraria e della Irminio srl.

Il territorio siciliano e l’intera area del Canale di Sicilia, con le numerose richieste di prospezione e sfruttamento degli eventuali giacimenti, sono diventati una nuova colonia delle lobby del petrolio. Una responsabilità gravissima contro il popolo siciliano, un attentato senza precedenti contro le sue migliori risorse. Crocetta, in questo delirio di pseudo modernismo, che è solo una scelta di arretratezza strategica e culturale, non è il solo colpevole. Nella tradizione delle liberalizzazioni selvagge delle più ciniche greppie economiche, avviate dal governo Berlusconi e rinsaldate dal governo Monti, il governo Renzi ha compiuto il passo più spregiudicato. Sui disastri che si profilano pesa la responsabilità di un partito come il Pd, incapace di rappresentare gli interessi veri delle comunità, incapace anche nelle sue parti migliori di bloccare il processo neoliberista del suo spocchioso leader.

Il silenzio dei sindacati, compresa la Cgil (che pur sta reagendo contro l’attacco ai diritti dei lavoratori e alla nuova deregulation del mercato del lavoro), sulla follia di uno sventramento del territorio e sulla contaminazione del mare siciliano, le cui risorse di biodiversità e di rigenerazione verrebbero travolte, è il segno di una incapacità di visione complessiva di una corretta scelta di sviluppo; che però arrogantemente blaterano di capire. A livello locale un esempio è clamoroso. Piovono dichiarazioni di esponenti sindacali e politici sulla necessità che si realizzi la nuova Vega B. L’assioma è: se c’è la Vega A perché non farne un’altra? Nessun interrogativo se questa è utile, se presenta nuovi rischi, dimenticando anche che i vertici della piattaforma al largo di Pozzallo sono coinvolti in una vicenda giudiziaria per smaltimento illecito dei reflui prodotti. Non si tiene conto di nulla: della scarsa qualità del petrolio estratto, ad alta densità bituminosa, delle condizioni dei fondali marini dove dovrebbe essere collocata la seconda piattaforma.

Si riparla solo di un possibile rilancio dell’area di Punta Cugno e di un possibile utilizzo di un migliaio di posti di lavoro, dimenticando che, escluse le specializzazioni operaie esistenti, le dotazioni tecniche per costruzioni di piattaforme presenti nello yards sono prevalentemente obsolete e che il tessuto industriale delle piccole e medie aziende locali è estremamente debole. Polvere di stelle per nascondere il fallimento di anni di inerzia e di battaglie di retroguardia. Un ruolo subalterno che non ha prodotto nulla contro problemi fondamentali, come le bonifiche, l’imposizione di nuovi sistemi di abbattimento delle emissioni inquinanti, la tutela della salute delle popolazioni, un’effettiva e capillare azione per la sicurezza nei posti di lavoro.

Il governo Crocetta, con le sue negative scelte di sviluppo, ha compiuto un atto di guerra contro le comunità della Sicilia. I cittadini, le categorie produttive che valorizzano le risorse del nostro territorio, gli imprenditori e i lavoratori della pesca, gli operatori turistici, il mondo della cultura e i movimenti per la difesa dei beni comuni, le centinaia di istituzioni locali che intravedono i pericoli incombenti, non possono subire le conseguenze di questo saccheggio indiscriminato. La mozione contro le trivellazioni approvata all’Ars può essere il punto di partenza per imporre al governo Crocetta di cambiare rotta e di ridefinire le scelte di rilancio dell’economia siciliana.

Salvatore Perna –ilmegafono.org