Sono passate poco più di due settimane dall’inizio ufficiale dell’operazione militare “Margine Protettivo”, l’ennesimo conflitto presente nella Striscia di Gaza. Notizie di diversa natura bellica o politica ci giungono da ogni parte, spesso dati macabri e foto di soccorritori con barelle arancioni che sfrecciano tra la polvere. Assistiamo a un popolo che nuovamente vede morire i suoi figli, magari con una telefonata di preavviso. Spesso le critiche si sono rivolte, oltre che ai governi interessati, anche ai partner commerciali, i quali abbandonano ogni dialettica politica e vendono a chi paga. Il tutto non solo in ottica di fornitura di armi, ma anche di accordi commerciali che riguardano qualsiasi merce. Embarghi e non, sono spesso una sottile linea di confine all’interno della comunità internazionale. Confine che denota alleanze morali e spesso materiali.
La fornitura di armi è un elemento fondamentale nella comprensione di un conflitto. Soprattutto quando si parla di nazioni che non sono superpotenze industriali e tecnologiche. Vediamo brevemente da dove prendono le armi i due governi coinvolti, quello israeliano di Benjamin Netanyahu, spesso soprannominato Bibi, e quello del Movimento Islamico di Resistenza, chiamato con il suo acronimo Ḥamās.
Il principale fornitore di armi al movimento politico palestinese è l’Iran, fornitore di missili. Poi arriva la Siria con gli M-302 progettati in Cina. Per quanto riguarda invece Israele, le armi arrivano, oltre che dagli USA, anche dall’UE. Proprio tra gli Stati europei spicca l’export italiano di armamenti verso Israele. Il nostro Paese esporta circa quanto Francia, Germania e Regno Unito insieme, ovvero il 41% dell’export europeo di armi verso Israele. In termini monetari sono 3,4 milioni di euro negli ultimi tre anni con l’aggiunta di oltre 11,2 milioni di armi leggere non militari (difesa personale, sport, caccia), prodotte ed esportate per l’82% (cioè 9,2 milioni di euro) dal distretto armiero di Brescia e Val Trompia.
Negli ultimi tre anni, le vendite autorizzate verso il governo di Tel Aviv hanno riguardato in particolare armi di calibro superiore ai 12,7 mm, aeromobili, sistemi d’arma ad energia diretta e apparecchiature elettroniche. Tra le imprese coinvolte figurano SimmelDifesa, Beretta, Northrop Grumman Italia, Galileo Avionica, Oto Melara ed Elettronicaspa. Lo dicono i dati dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa. Interessante è poi il dato sull’import italiano di forniture grezze di armi dall’Israele, un vero e proprio accordo commerciale.
Il business delle armi spesso sovrasta il conflitto, le sue motivazioni e soprattutto la sua storia e, vista la netta sproporzione militare tra i due paesi, diviene fulcro dell’andamento della guerra. Inoltre, la stessa guerra ha caratteri di internazionalità laddove si vuol vedere il commercio come strumento influente.
Netto lo schieramento USA e occidentale in genere, con pochi richiami di solidarietà al popolo palestinese, a quei civili che sono le vere vittime di questa violenza. Molti leader, tra cui Obama, hanno parlato di “Diritto alla difesa” riguardo alle mosse di Israele. La distorsione di questo concetto sta nell’invasione dei territori palestinesi, che costituisce un vero e proprio attacco, più che una difesa. Il motivo ufficiale, il casus belli è il rapimento di 3 giovani israeliani uccisi da una banda di balordi.
Intanto primi segnali arrivano dall’ONU, che apre un’inchiesta sui crimini di guerra commessi da Israele nel conflitto, a cui seguono tregue proposte e rifiuti di Hamas, mentre molti fanno il countdown dei giorni per la prima delle pause di questa sanguinosa strage di civili. Per adesso. però, scorre ancora il sangue sull’area mediterranea, un tempo centro politico, ora forse solo morale, della nostra comunità internazionale, nuovamente non compatta, nuovamente allergica al dialogo.
Italo Angelo Petrone -ilmegafono.org
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