L’anno è iniziato e mentre nel nostro Belpaese è partita a gonfie vele l’eterna saga della politica e dei palazzi, allo stesso tempo è partita anche la telenovela mainstream della politica mondiale. Tg, grandi testate e personaggi di spicco ci pongono le solite questioni aggiornate: tra Olimpiadi in Russia, Obama, politiche europee e 120 cani che sbranano parenti presunti serpenti di dittatori della domenica, il mondo parla poco della serie di conflitti locali che fanno parte di realtà dimenticate.
Siria, Afghanistan, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana del Congo, Congo e Iraq sono i figli abbandonati, o meglio, non riconosciuti dell’Occidente. Vediamo prima le realtà alle quali l’Occidente è rimasto ancora affezionato pur avendole ormai scaricate al loro destino: Siria, Afghanistan e Iraq.
Della Siria sappiamo della Conferenza di pace di Ginevra, ribattezzata Ginevra 2, dove si cerca disperatamente un accordo di cessazione delle ostilità. Intanto, i tre schieramenti (curdi, nazionalisti ed arabi siriani) in totale hanno 400.000 soldati schierati e le vittime sono 130.000 tra militari e civili, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani.
Invece, entro la fine dell’anno è previsto il ritiro di tutte le truppe dall’Afghanistan. Ha deciso così il più grande vertice Nato della storia tenutosi a Chicago nel 2012. I militari dell’ISAF (International Security Assistance Force) rimpatrieranno e il territorio sarà sotto il completo controllo delle truppe afgane, che verranno comunque finanziate e addestrate dagli alleati. Wikipedia, un’enciclopedia tra le più autorevoli e aggiornate, sostiene che il conflitto è tuttora in corso e le prospettive di stabilità sono più lontane delle luci in fondo al tunnel di cui parla Letta.
In Iraq, la guerra è terminata ufficialmente, il paese è autonomo politicamente, ma gli USA non hanno di certo seguito la regola del buon campeggiatore. La regola del buon campeggiatore vuole che l’ospite, al suo abbandono, lasci più ordine di quanto non ne abbia trovato e nel caso dell’Iraq non possiamo di certo parlare di un’oasi di democrazia e civiltà. Inutile aprire parentesi infinite di lobbismo o affari economici, il conflitto è stato un totale fallimento, al pari dell’Afghanistan: se anche la storia difficilmente lo ammetterà, si parla di guerre perse. Perse nei campi di battaglia ma vinte sui tavoli d’affari.
Questi tre casi ci erano noti, perché i tg ne parlavano, perché le nostre truppe erano spesso a supporto di coloro che ci regalarono il piano Marshall, perché se gli USA vanno in guerra il mondo deve assistere, schierarsi e preoccuparsi. Quando gli USA vanno in guerra, purtroppo parte sempre una sottile linea che divide buoni e cattivi.
I casi africani invece non fanno parte degli interessi a stelle e strisce, nemmeno di interessi europei come nel caso della Libia e tantomeno Nato o Onu sembrano più di tanto preoccupati. Eppure in Sud Sudan ci sono mezzo milione di sfollati (nessuna protezione sanitaria, alimentare e fissa dimora) secondo l’Unicef e 10.000 morti secondo l’International Crisi Group. Il conflitto tra le etnie Dinka e Nuer, entrambe con violazioni di diritti umani a carico, ha portato il paese nel caos più totale. L’Onu raddoppia i suoi caschi blu ma Ban Ki-Moon avverte che devono essere le due fazioni rivali a portare la pace nel loro paese. Incoraggiante.
La Repubblica Centrafricana del Congo, come nei film di Di Caprio, è vittima della sua ricchezza naturale. Diamanti, oro e uranio, i tre tappeti persiani del sottosuolo nazionale sono al centro del conflitto tra musulmani Seleki e cristiani Anti-Balaka. L’Onu ci parla di violazione estrema di diritti umani (decapitazioni, violenze sessuali, abuso di minori, tortura e tanto altro) e di un milione di persone che hanno dovuto abbandonare la loro casa e sottolinea l’emergenza per i bambini.
In Congo, invece, nel 2008 la guerra e le sue conseguenze hanno causato circa 5,4 milioni di morti, in gran parte dovute a malattia e fame. La seconda guerra del Congo è stata il conflitto più cruento svoltosi dopo la seconda guerra mondiale. Molti milioni sono stati i profughi e quelli che hanno chiesto asilo nelle nazioni confinanti. Questo riguarda il 2008 e, come nel caso dell’Iraq, si raccolgono ancora le macerie. Fin qui si sono illustrate alcune realtà, non sono tutte ovviamente e gli approfondimenti nei prossimi appuntamenti non mancheranno.
La comunità internazionale si trova ad affrontare molte sfide, ardue e incresciose, nel 2014. Le grandi istituzioni come l’Onu purtroppo sono spesso vittime delle loro politiche interne e delle relazioni internazionali e così, come sempre, come nell’antimafia, come nell’emergenza rifiuti, così anche nelle questioni di cooperazione, si muove la società civile, si muovono le Ong e i pochi illuminati che fanno un pit-stop in questo mondo. Gli aiuti umanitari provenienti da associazioni occidentali sono i veri protagonisti della ricostruzione e della gestione dei conflitti, la loro presenza è decisiva ma non bisogna mai dimenticarsi che si parla di approcci assistenzialistici.
Perché ricordarlo? Perché se l’ottica globale non è solo commerciale ma anche umana, allora le istituzioni che hanno scelto dopo il 1945 di garantire con carte e dichiarazioni un mondo in cui la dignità umana avesse il primato devono essere più presenti. Abbiamo bisogno di una coscienza globale per poter affrontare questo secolo, o meglio, questo millennio. Le avanguardie parlano di un “agire locale e pensare globale”, forse potrebbe essere un inizio, di certo la strada è ancora lunga.
Italo Angelo Petrone –ilmegafono.org
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