L’agricoltura è uno dei settori produttivi più importanti dell’Unione Europea. Un’affermazione di questo genere può risultare strana e inconsueta, anche perché non è il lato del mercato più presente nei dibattiti economici di carattere nazionale ed europeo. Eppure, la coltivazione e i suoi derivati, che costituiscono quello che storicamente viene anche chiamato settore primario, continuano ad impegnare seriamente i burocrati di Bruxelles e di Roma per molteplici motivi. In che situazione si trova l’agricoltura europea? Facciamo un breve punto della situazione analizzando alcune politiche di maggiore impatto macroeconomico come la Politica Agricola Comune, denominata PAC, le Quote Latte, per capire anche come l’attore europeo si colloca nel panorama globale.
Un recente studio del Transnational Institute (TNI) for European Coordination Via Campesina and Hands off the Land network mostra che, in Italia, oltre 700.000 piccole aziende sono sparite nell’arco di un decennio e il 30% dei terreni fertili è in mano all’1% delle aziende. Nel 2011 lo 0,29% delle aziende agricole ha avuto accesso al 18% dei fondi comunitari Pac. La PAC, istituita dal Trattato di Roma è la politica comunitaria di maggiore importanza da sempre, impiegando circa il 34% del bilancio dell’UE.
La PAC si basa su due pilastri: soddisfare gli agricoltori grazie al prezzo di intervento (questo era il prezzo minimo garantito per i prodotti agricoli stabilito dalla Comunità Europea. Il prezzo delle produzioni non poteva scendere al di sotto di questo); orientare le imprese agricole verso una maggiore capacità produttiva (limitando i fattori della produzione, aumentando lo sviluppo tecnologico e utilizzando delle migliori tecniche agronomiche). In pratica la PAC non fa altro che acquistare l’eccedenza di produzione agricola a un prezzo minimo stabilito per proteggere l’offerta. Onde evitare che i nostri imprenditori agricoli debbano vendere a prezzi sottoproduttivi, l’UE ha ben pensato di sostenere la domanda quando essa potrebbe non reggere.
Quali risultati? Il FEOGA (Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia Agricola) è il complesso di imprese che devono acquistare l’eccedenza di produzione agricola per poi rivenderla all’estero, quando nel frattempo le importazioni sono bloccate da barriere doganali. Il difetto di questo meccanismo riguarda l’efficienza. Tutte le imprese agricole hanno la certezza che la loro produzione venga acquistata grazie al prezzo di intervento. Diciamo che la situazione, pur lasciando ampi spazi mercato, si traduce in una vera e propria politica centralizzata. Molti agricoltori non producono più per il mercato ma solo per la PAC, solo per avere il prezzo assicurato da Bruxelles. Ciò a pieno discapito dell’innovazione e dello sviluppo di uno dei settori storicamente ed economicamente più importanti del nostro continente.
Le quote latte, un tipo di prelievo supplementare, invece funzionano al contrario: se produci latte oltre una certa soglia ti multo per ogni litro di latte in eccesso. Questo per evitare un’offerta troppo grande che porti i prezzi a cifre centesimali mandando in rovina il settore. Qui la realtà è più locale e le discussioni non sono mancate. In Italia, negli anni Ottanta, per via di dati deficitari dell’ISTAT vennero assegnate quote inferiori al consumo nazionale, costringendoci ad importare. Inoltre, quando la produzione continuò ad incrementare, visti anche gli errori statistici, le multe vennero pagate dallo Stato e non dai produttori, che altrimenti sarebbero sprofondati. Questo è solo un episodio triste della regolamentazione agricola europea e dei suoi strumenti di valutazione statistica.
In sintesi, l’agricoltura europea è un settore grande e influente che si sta sedimentando sotto i sussidi e viene strozzato dai prelievi supplementari. È un settore anche molto protetto dalle barriere doganali e vende all’estero grazie alle politiche comunitarie. Insomma, artificialmente in vita per evitare un collasso di domanda e offerta che nel mondo globale non reggerebbe i ritmi, per esempio, asiatici. L’idea e i principi alla base della PAC e delle Quote Latte sono nobili e solidali ma non aiutano realmente il settore. Un imprenditore agricolo oggi è vittima di una pirateria commerciale globale e si trova a competere con produttori di tutto il mondo. Una politica materna (o paternalistica) che tiene in vita con i sussidi o con limitazioni di produzione un settore in crisi rischia di collassare. Certo, è meglio tirare a campare che tirare le cuoia, ma quale futuro per la nostra agricoltura si prospetta nel contesto mondiale?
Circa il 50% della forza lavoro mondiale è impiegata in agricoltura, con il 64% della popolazione africana, il 61% di quella asiatica, il 24% di quella sudamericana, il 15% di quella dell’Europa dell’Est e degli stati dell’ex Unione Sovietica, il 7% di quella dell’Europa occidentale e meno del 4% di quella statunitense e canadese. Noi europei siamo degli outsider a livello globale ma quando si è in queste posizioni esiste sempre una grande risorsa: la qualità. Se accomuniamo l’arte gastronomica dei paesi europei, che è strettamente collegata alla sua storia agricola, si potrebbero delineare dei profili di competitività e specializzazione internazionale di non scarso rilievo.
Non sarebbe male immaginare un mondo nel quale il cibo e l’agricoltura di ogni paese possano ricevere la giusta valorizzazione. Dove un frutto o un tipo di carne non debbano essere prodotti soltanto per un’ottica meramente commerciale, come lo si potrebbe fare per una bibita artificiale. Ridare valore ai prodotti di una terra significa ridare dignità a una storia. La produzione rapace e megalomane è poco comprensibile, e questo si sa, ma è totalmente inconcepibile quando strumentalizza prodotti che danno identità a un luogo.
Italo Angelo Petrone –ilmegafono.org
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