C’è poco da fare, in Italia abbiamo un complesso radicato nella nostra coscienza, nei nostri modi di pensare, di guardare un orizzonte sulla cui linea abbiamo piantato come punto di riferimento, nel bene o nel male, una bandiera: quella americana. Un rapporto, quello con gli Stati Uniti, che è storicamente intenso e contraddittorio, figlio di una storia che ha gettato ponti, a volte di salvezza, altre di insopportabile ingerenza. Su questi ponti ci hanno camminato sopra sia gli eroismi generosi di ragazzi in uniforme sbarcati in Sicilia durante la Seconda guerra mondiale, sia le strategie di influenza politica, intrise di anticomunismo e complicità mafiose, i segreti di Stato, i punti oscuri di fatti decisivi della nostra storia repubblicana, fino ad arrivare ai passi arroganti e distruttivi delle aziende a stelle e strisce e della Us Navy, che, soprattutto in Sicilia, puzzano di occupazione e di sfruttamento selvaggio delle più preziose risorse territoriali.
Sul mare che passa sotto questi ponti, inoltre, hanno navigato per anni bastimenti carichi di italiani, in viaggio verso una speranza chiamata America. Una parola che voleva dire ricchezza, riscatto, felicità. “Hai trovato l’America”, si dice ancora per indicare di aver avuto fortuna, in senso ampio. Tra quegli italiani, nel 1905, c’era anche Giovanni De Blasio, da Sant’Agata dei Goti (Benevento), che qualche anno dopo sarebbe stato raggiunto a New York, dopo il “filtro identificativo” di Ellis Island, dalla moglie lucana Anna Briganti. Chissà se immaginavano che un giorno quella Grande Mela avrebbe riposto fiducia nelle mani del nipote Bill De Blasio, neosindaco di New York, non il primo americano di origine italiana a diventarlo, ma sicuramente il primo a suscitare suggestioni romantiche in parte della sinistra italiana.
Il “rosso” Bill, come qualcuno lo ha subito battezzato, parla di più tasse per i ricchi allo scopo di finanziare scuole, università e ospedali, di lotta alle speculazioni, di stop al razzismo della polizia che utilizza gli speciali strumenti di contrasto alla criminalità per fermare in maniera indiscriminata soprattutto neri e latinos. Parla di sociale, De Blasio, si rivolge a quella parte della città che vive sotto l’ombra dei grattacieli, tra povertà, difficoltà quotidiane, esigenze vitali, privazioni, umiliazioni. Il neosindaco vuole una New York che sia prima di tutto dei cittadini, a loro misura, e non solo dei miliardari e della loro ostentata opulenza.
Esattamente quello che sogna, su scala differente, il popolo della sinistra italiana, quella che, in Italia, non riesce a trovare, in chi dovrebbe rappresentarla, parole e concetti simili ed è costretta a convivere con i bruciori di stomaco causati da partiti e leader che hanno completamente deviato il proprio asse e hanno addirittura realizzato la vergognosa alleanza di governo con il peggior nemico. “Noi abbiamo Napolitano e loro hanno Obama”, a questa frase che tante volte ho sentito dire adesso se ne aggiungerà un’altra: “A New York i democratici hanno De Blasio, noi qui abbiamo Renzi e Letta”. C’è una romantica nostalgia negli occhi di chi è costretto ad assistere alla giustificazione delle peggiori cose, delle scelte folli, dei passi indietro, alle liti, all’inerzia, all’annacquamento di temi e battaglie che un tempo erano un patrimonio irrinunciabile e prezioso. Siamo costretti a guardare l’America.
Perché abbiamo ancora bisogno di trovare l’America, avremmo bisogno di un New Deal politico, morale, culturale, noi che una volta eravamo la cultura da imitare, quella di intellettuali straordinari che ci abbellivano il tempo. E ciò crea un dissidio interiore, ideologico, che disarma, smarrisce, ubriaca le convinzioni di molti. Perché, alla fine, c’è quel complesso che diviene ancora più evidente. Quel duplice schieramento tra filo-americani e anti-americani.
Uno schieramento la cui stupidità viene smentita da chi riesce a stare in mezzo e dalla Storia, che è sempre obiettiva. Un immigrato è presidente degli Stati Uniti e a New York c’è un sindaco che discende da immigrati. Basterebbe solo questo a smentire l’anti-americanismo preconcetto, quello di chi, da un lato, si indigna giustamente per le continue e vergognose oscenità razziste che popolano il nostro Paese a tutti i livelli e in tutti i settori (compreso il web), e poi, dall’altro, denigra sbrigativamente un popolo, lo rifiuta, lo etichetta solo per via dei governi e delle politiche che lo hanno rappresentato in alcune fasi storiche. Il popolo di una nazione enorme e piena di contraddizioni che ha commesso e commette errori tremendi anche in materia di immigrazione, ma che poi mostra le parti migliori di una democrazia e consente a due immigrati o di origine immigrata di stare al timone di una delle più grandi potenze e della sua città più importante.
Ecco perché forse, prima di essere anti-americani tout court, dovremmo capire che gli Stati Uniti sono una realtà strana, gigantesca, complessa, piena di tutto e del suo contrario e che forse sarebbe più corretto e intelligente contestare le linee politiche di alcune lobby o di certi gruppi di potere che la attraversano e guidano o l’hanno guidata. Perché altrimenti si rischia la pessima figura di dimenticare che dagli Usa non sono venuti solo guerre assurde o annebbiamenti e massificazioni culturali, ma anche i germi che successivamente hanno ispirato il nostro ’68, le più importanti lotte per i diritti delle donne, per i diritti umani (nel Paese delle armi e della pena di morte), contro il razzismo (nel Paese del KKK e che sul tema ha conosciuto momenti terribili).
Rispetto a tutto ciò, provo un duplice sentimento guardando all’Italia e alle sue dimensioni, e pensando alla Lega, alle lamentele penose sul numero (esiguo) di migranti che un sentimento di umanità e la Costituzione per primi ci dovrebbero imporre di gestire al meglio, agli insulti continui al primo ministro di pelle nera della storia italiana, agli atti di violenza razzista, al terreno di esclusione che si costruisce attorno ai migranti che danno ricchezza e aiutano la nostra economia, come i nostri avi fecero con gli Stati Uniti e con tanti altri stati d’Europa e del mondo.
Un sentimento di tenerezza per quella gente di sinistra che ormai deve per forza volgere lo sguardo all’estero per poter trovare un sorriso, seppure amaro, e un sentimento di rabbia per un’arretratezza da Paese piccolo che pian piano scompare, perché ha smarrito la sua grandezza culturale, quella che ci faceva sentire di meno il peso di un complesso così profondo. Una perdita, un declino misero che ancora oggi ci induce a sperare di “trovare l’America”, che sta lì, da qualche parte. E continua a camminare in avanti.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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