Ci siamo, è molto vicina la chiamata alle urne del 24 febbraio prossimo, una data nella quale gli italiani dovranno affrontare i propri dubbi, superare diffidenza e disillusione e recarsi presso i seggi elettorali per stabilire il nuovo assetto politico istituzionale da dare al Paese. Ancora una volta la scelta non sarà facile; il dissesto economico con il quale ormai da anni si convive ha cambiato (almeno parzialmente) la mentalità dei cittadini del Bel Paese, non più disposti ad accettare “compromessi” e desiderosi di un vero cambiamento, di una vera, improcrastinabile ripresa. Purtroppo tale cambiamento non sembra aver investito anche la classe politica che, nella maggior parte dei casi, ha mantenuto i medesimi volti e, cosa ancor più grave, i medesimi atteggiamenti poco confortanti ed educativi. Gli italiani, sempre più confusi e disillusi, stanno provando a decidere a chi affidare il delicato compito di guidare lo Stato e, per farlo, dovrebbero attenersi alle dichiarazioni dei leader dei vari schieramenti ma, purtroppo, queste ultime talvolta lasciano più perplessi di prima.
Quale la scelta migliore tra chi, come il comico Beppe Grillo, si vanta di non avere nelle proprie liste volti dell’antimafia (come se essere impegnati nella lotta alle mafie fosse una vergogna piuttosto che un grande vanto), dimenticandosi di aver puntato su Sonia Alfano negli anni dal 2007 al 2009, e chi, come Silvio Berlusconi, definisce “dolorosa” la mancata candidatura (al termine di uno scandaloso siparietto fatto di incertezze e ricatti), dell’ex sottosegretario all’Economia, Nicola Cosentino, da anni accusato di avere stretti legami con la camorra? Cosentino, detto anche Nick ‘o mericano, inizialmente era in lista per il Senato al terzo posto, dopo Berlusconi e Palma, malgrado sia coinvolto in svariate inchieste sulla camorra, in una delle quali è stato definito dal giudice Egle Pilla “il referente nazionale del clan dei Casalesi”, e nonostante possa vantare “illustrissime” parentele: è infatti cognato della sorella del boss dei casalesi Giuseppe Russo, Mirella Russo, e della figlia del boss Costantino Diana.
Su di lui pendono due mandati di arresto (del 2009 e del 2012), entrambi mai attuati per il voto sfavorevole della Camera, che hanno portato a due processi per concorso in associazione camorristica, l’ultimo dei quali appena iniziato. Di qui l’enorme preoccupazione dell’ex sottosegretario, consapevole che la mancata candidatura potrebbe per lui tradursi in un arresto fino ad ora tanto abilmente evitato grazie all’immunità parlamentare. Una preoccupazione che si è trasformata in minacce ai danni dei suoi ex amici e colleghi di partito. In particolar modo la sua rabbia si è espressa nei confronti dell’amico (?) Silvio Berlusconi di cui si è detto “schifato”. “Berlusconi – ha dichiarato Cosentino dopo la notizia della sua definitiva esclusione dalle liste – ha chiamato cinque volte stamane e sette ieri. Temeva che la facessi fuori dal vaso, invece io non sono uno che si lascia andare. So aspettare, e l’ansia la faccio venire a loro, ma piano piano”.
“Si è svenduto – ha aggiunto- tutta la sua cultura garantista per un pugno di voti. Ma io non muovo un dito per questa campagna. Una delusione enorme”. Non sono mancate rimostranze anche nei confronti di Alfano, definito dall’ex sottosegretario campano “un perdente di successo”. Nicola Cosentino non è stato però l’unico ex volto della politica individuato come “incandidabile”: nel 2013 la medesima sorte è toccata anche a Marcello Dell’Utri (sempre Pdl), sotto processo per i presunti rapporti con la mafia (per i quali è stata richiesta una condanna a 7 anni), e a Vladimiro Crisafulli (Pd), estromesso dalle liste per volontà di Bersani in considerazione del suo rinvio a giudizio, nel 2010, per abuso d’ufficio e dell’accusa (archiviata nel 2004) di concorso esterno in associazione mafiosa.
Il Pd ha deciso, in base al medesimo criterio di opportunità, di escludere dalle liste anche Antonio Papania, per il patteggiamento a 2 mesi e 20 giorni di carcere, convertiti in multa, che accettò in un processo per abuso d’ufficio, e Nicola Caputo, coinvolto (dallo scorso 11 gennaio) in un’inchiesta su fatture false emesse da alcuni consiglieri della Regione Campania per ottenere rimborsi.Tutte queste esclusioni potrebbero far illudere che queste elezioni lancino una nuova era di rinnovato senso civico e di maggiore attenzione al concetto di “legalità”. Purtroppo non è esattamente così. Malgrado abbia “scaricato” due suoi amici (un po’ troppo compromessi) il partito di Berlusconi ha confermato moltissime candidature quantomeno “discutibili”.
In particolar modo in Sicilia figurano nelle liste: Antonio Scavone (accusato di abuso d’ufficio e già condannato a pagare 400 mila euro per la gestione dell’Asp 3 di Catania); Antonino D’Alì (imputato per concorso esterno in associazione mafiosa) e Nino Minardo (condannato nel 2011 per abuso d’ufficio). Appare evidente che un reale cambiamento è ancora notevolmente lontano ma finché non impareremo a dare alla legalità il valore che merita, finché non pretenderemo che tutti i candidati ad avere un ruolo nel nostro governo siano incensurati, non solo giudiziariamente ma anche moralmente, la ripresa economica e sociale dell’Italia sarà solo un sogno per romantici ed idealisti.
Anna Serrapelle- ilmegafono.org
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