Il mare Mediterraneo che circonda la nostra Penisola si è salvato, almeno per ora, dalle trivellazioni selvagge. Il controverso articolo 22 del decreto Monti è stato cancellato ieri “in extremis”: sono sparite le norme che avrebbero semplificato le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di petrolio e gas in mare dentro le aree protette e in un raggio di12 miglia dalla costa. Il Wwf, però, in un rapporto pubblicato ieri, alla vigilia della manifestazione nazionale “Più verde, meno nero”, organizzata per oggi a Monopoli, in Puglia, denuncia un vero e proprio “Far West” delle trivellazioni sul territorio italiano. Come si legge nel documento del Wwf, nel nostro Paese “c’è poco petrolio e di scarsa qualità; a terra è localizzato in aree densamente urbanizzate e in mare è nei pressi di coste altamente popolate e che presentano spesso alti valori culturali e ambientali da tutelare”.
Cosa spinge allora grandi compagnie petrolifere a venire in Italia se i margini di profitto non sono sicuri e si rischiano conflitti con altri soggetti economici, gli abitanti e le autorità locali? Il rapporto del Wwf parla chiaro: “La cosa si spiega solo se consideriamo che l’Italia è una sorta di Far West, in cui vige un regime fiscale smaccatamente favorevole alle aziende che operano nell’estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi”. Come rileva l’associazione ambientalista, su 136 concessioni per la “coltivazione” in terra di idrocarburi liquidi e gassosi attive in Italia nel 2010, solo in 21 casi sono state pagate le royalty (imposte sullo sfruttamento del territorio) alle amministrazioni pubbliche e, su 70 coltivazioni in mare, solo in 28 casi sono state pagate. Nel2010, in definitiva, delle imprese petrolifere che operano in Italia solo 5 hanno pagato le royalty (ENI, Shell, Edison, Gas Plus Italiana ed ENI/Mediterranea idrocarburi).
“Grazie a questo amplissimo sistema di esenzioni, di aliquote sul prodotto e di canoni di concessione bassissimi ed una serie di agevolazioni e incentivi, la nostra Penisola e le sue acque sono oggetto di una ricerca sovradimensionata di oro nero o di gas”, denuncia il WWF. Solo nel 2011 sono state 82 le richieste e i permessi per la ricerca di gas e petrolio in mare (74 dei quali nelle regioni del Centro-Sud e 39 nella sola Sicilia) registrati dal Ministero dello Sviluppo Economico. Le istanze di ricerca e i permessi di ricerca in terra presentati nello stesso anno sono stati invece 204 (89 al Nord, 61 al Sud, e 54 nel Centro Italia).
Per far capire quanto le agevolazioni fiscali siano “attrattive” per le società petrolifere, il Wwf fa qualche esempio: le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma e le prima 50 mila tonnellate di petrolio prodotte in mare, così come quantità corrispondenti di gas estratte da terra e dal sottosuolo marino nel Bel Paese, sono esenti dalle tasse. L’aliquota sull’estrazione di quantità eccedenti le soglie esentasse oscilla tra il 7% e il 4%, a seconda che si tratti di idrocarburi gassosi o liquidi estratti in mare, mentre in terraferma sale al 10% sia per il gas che per il petrolio. Se pensiamo che la media delle aliquote applicate da altri Stati oscilla tra il 20 e l’80% del valore del prodotto estratto, è chiaro che l’Italia rappresenta il Paese del Bengodi per i magnati dell’oro nero.
In tale contesto, sarebbe stato davvero irresponsabile e criminale “liberalizzare” ulteriormente le trivellazioni in mare, ma bisogna essere vigili. Quello che oggi è uscito dalla “porta” del decreto Monti non deve rientrare dalla “finestra” di una futura normativa. Il Wwf ha già pronte delle richieste da fare all’esecutivo e al Parlamento per eliminare le ingiuste esenzioni sulle aliquote e imporre un adeguamento del regime fiscale in materia di ricerca ed estrazione di idrocarburi a quello di Paesi ritenuti “civili”.
G. L.-ilmegafono.org
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