Un popolo di santi, poeti e navigatori. Quante volte lo abbiamo sentito ripetere. Potremmo aggiungere mille altre categorie, ma rischieremmo di alimentare ulteriormente la fabbrica di stereotipi che prospera lungo lo Stivale. Di sicuro, però, gli italiani si fidano molto del “nuovo”, o meglio, di tutto ciò che, pur essendo vecchio, appare nuovo. E lo fanno d’istinto, senza pensarci troppo, specialmente quando stanno male. Non parliamo di medicina o di salute, ma di politica. Dopo la conferenza stampa nella quale Monti ha annunciato le misure rigide necessarie per tirare fuori il Paese dal baratro in cui, non la crisi, ma oltre 20 anni di cattiva politica l’hanno spinto, le reazioni del popolo sono state abbastanza blande, contenute, rassegnate. Si storce un po’ il naso, ci si lamenta, ma non c’è abbastanza rabbia, perché alla fine si trova una giustificazione nel fatto di dover fare sacrifici se non si vuol finire come la Grecia, se non si vuole collassare definitivamente. Il fatto che poi a comunicarci il peggio sia stata gente che mostra competenza ed un atteggiamento serio e istituzionale, senza barzellette, sorrisetti idioti, comportamenti primordiali, crea smarrimento, perché non ci eravamo più abituati.
Se il sacrificio ce lo chiede Mario Monti, con la sua aurea di professore ed economista illustre, con il suo garbo, la sua serietà, l’espressione del volto perfettamente adeguata alla gravità del momento, difficile dubitare del fatto che le misure adottate siano la soluzione migliore che il Cdm poteva partorire. Poi, mettici pure le lacrime di una ministra, che spinge tantissimi a parlare di “umanità”, con tanti plausi, attestati di stima e milioni di dibattiti con oggetto quelle lacrime e il loro significato, e il gioco è fatto. L’italiano accetta o, almeno, contiene la sua amarezza per una manovra che gli costerà tantissimo. Equità. Altra parola diventata quasi un tormentone, ritornello affascinante che passa di bocca in bocca, di persona in persona, perdendo progressivamente i suoi connotati semantici. Tutti la nominano ma nessuno la trova. Già, perché uscendo dall’incantesimo visivo di un governo dall’immagine seria ed “europea” e dall’appeal sentimentalista di un ministro emotivo, se andiamo ad analizzare la manovra ci accorgiamo di quanto sia ingiusta, codarda e vecchia.
Nessuna equità sociale, né scelte coraggiose atte a ridurre drasticamente le diseguaglianze, ma il solito pacchetto di interventi dalla fisionomia arcaica ed insopportabile. Aumento dell’Iva, caro benzina, reintroduzione dell’imposta sulla prima casa (con un’importante maggiorazione), una riforma delle pensioni che, seppur necessaria, viene accelerata in maniera indebita, senza tener conto delle situazioni attuali di chi in pensione sta per andare e senza alcun adeguamento delle minime. Ai sacrifici chiesti alla gente comune, inoltre, non corrisponde alcuna misura seria sui grandi patrimoni. L’applicazione dell’una tantum dell’1,5% sui capitali scudati (quelli rientrati dall’estero, e quindi sottratti al fisco, pagando una percentuale bassissima) è ridicola, anche perché, come ha sostenuto il Servizio studi della Camera, “potrebbe non trovare applicazione sul complesso dei capitali già emersi, nel caso in cui il contribuente scudato li abbia già investiti in altre attività finanziarie o spostato la sua posizione presso un altro intermediario”.
Le misure su auto di lusso e barche, poi, sono un’inezia, per non parlare dell’assenza di tagli consistenti ai costi della politica ed alle spese per gli armamenti, a cui si aggiunge la vergogna delle frequenze della tv digitale regalate ai grossi network. Infine l’esenzione del Vaticano dal pagamento dell’Ici sui beni immobiliari: non solo le chiese, ma anche tutti quegli immobili che producono rendite immense, come collegi, alberghi, ecc. Insomma, Monti è esattamente ciò che immaginavamo. Un uomo delle banche che lavora per le banche e per la casta che le governa. Sacrifici per chi ha di più, a parte la sua rinunzia allo stipendio da premier, non se ne vedono. La ricetta anticrisi utilizza gli stessi ingredienti che la crisi l’hanno creata. La Cgil se n’è accorta subito, non si è lasciata sedurre. Lo sciopero non può che essere un inizio e sul tema dell’equità non sono accettati compromessi, ambiguità o passi indietro.
Salvare l’Italia non deve essere un diktat rivolto a chi dall’Italia deve essere salvato, cioè la classe lavoratrice che da anni si sobbarca il peso delle scelte, o meglio, delle non scelte di una politica trasversalmente impegnata in una reciproca dialettica da stadio basata sul nulla. I banchieri che sono arrivati a salvare l’Italia e che mostrano la propria statuetta votiva che lacrima per imbonire il popolo nel chiedergli di sacrificarsi propongono le stesse, identiche, solite soluzioni che premono lo stivale sulla schiena malconcia dei più deboli, mentre con un dito solleticano appena la pancia dei grossi capitalisti.
E tra questi mettiamoci la Chiesa, una delle maggiori Spa. L‘Ici deve essere assolutamente introdotta anche per il Vaticano, cosicché capisca che bisogna stare con la gente e con gli ultimi a sostenere il peso di quest’epoca maledetta. Come fanno quotidianamente tanti preti di periferia. E in questo Paese la periferia non è solo fisica, materiale, ma anche morale, sociale, psicologica. Speriamo davvero che, una volta finito l’incantesimo, gli italiani si sveglino e comincino a provare un po’ di rabbia. Perché le lacrime (quelle nostre) non servono a niente e di certo non impietosiscono chi decide per noi.
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
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