Le schiene dritte e gli occhi aperti, in mano un foglio di carta con tanti timbri, addosso quella sensazione di entusiasmo che forse in tanti avevamo dimenticato. Votare, scegliere, decidere laddove altri tentennano o vanno in direzione opposta al futuro dell’intera popolazione e delle generazioni che verranno. Il trionfo della democrazia, la conferma che è ancora salda, nonostante tutto, e che forse si parla di regime con troppa facilità. Sì, perché talvolta diventa un alibi per non mobilitarsi, per non impegnarsi. Invece non c’è alcun regime, ci sono dei tentativi, ma non scalfiscono le strade ancora aperte e larghe della democrazia. Basta solo popolarle, ricominciare ad affollarle. Le amministrative prima e il referendum poi hanno dato una dura lezione a chi si ostina ad affondare le flaccide terga nelle poltrone dai manici dorati, rimanendo sordo all’urlo di cambiamento che, pacificamente, si sta levando in tutta Italia. “Andiamo avanti”, rispondono. Come se niente fosse, dimenticando che il nucleare era uno dei punti principali del programma di governo e che gli elettori lo hanno inesorabilmente bocciato. Fingendo di ignorare che il 95% degli italiani ha proclamato l’abrogazione del legittimo impedimento, ossia la legge ad personam con cui il Caimano ha cercato di salvarsi dai processi.
Il messaggio della gente è chiaro, netto, innegabile. Si è parlato di sberle, una valanga di sberle. Viene in mente il pugilato, la “nobile arte”, uno sport che diventa esaltante quando i due avversari combattono con regolarità, con rispetto, fino al gong finale, dopo il quale l’arbitro proclama il vincitore, con lo sconfitto che sportivamente si complimenta e ne riconosce la vittoria prima di lasciare il ring. A giugno il governo si è trovato finalmente sul ring, è uscito dal palazzo, ha dovuto affrontare il popolo. Lo ha fatto violando spesso le regole, con slealtà, scorrettezza e uno smodato uso di colpi bassi. Nonostante tutto ciò, ha perso. Due volte. Un pugile suonato, quasi al tappeto, colpito dai diretti e dai ganci puliti e tecnicamente perfetti degli elettori e del loro voto. Eppure, nonostante la sconfitta, non c’è segno di resa, non ci sono spugne che cadono per decretare la fine. Sono andati ko ma continuano ad occupare il ring, ad imprecare, insultare il popolo, negare l’esito di una grande mobilitazione di massa. Hanno paura, adesso, questi usurpatori delle istituzioni, vengono contestati ovunque, fischiati.
Vengono sollecitati a rispondere, ma tacciono, scappano o reagiscono velenosamente con insulti ignobili, inascoltabili. Oppure cercano disperatamente di improvvisare misure (come l’ultima porcheria, il decreto che inasprisce le pene per i migranti clandestini) che possano soddisfare la pancia e i bassi istinti di una parte degli italiani. Brunetta, Stracquadanio, La Russa, Bossi, Berlusconi, Maroni: basta! L’ora di farsi da parte è giunta e questo Paese lo sta facendo capire con le buone maniere, con i mezzi più potenti che la Costituzione e la democrazia ci offrono: la mobilitazione e il voto. Ha vinto la gente ed è davvero stupido cercare, come sta facendo qualcuno nel Pd, di mettere cappelli a quella che è l’espressione di un cambiamento politico (nel senso più profondo del termine) che va al di là e molto più avanti di logiche e appartenenze di partito.
Il no all’acqua privatizzata è un no sbattuto in faccia anche a quegli amministratori del centrosinistra che avevano sostenuto la privatizzazione, attivandola nelle realtà locali, assegnando la gestione ad aziende private, che in realtà erano carrozzoni dentro cui affondare le mani sporche del clientelismo trasversale, tanto utile a fini elettorali. Un no anche a chi, dentro l’area del Pd e di parte del centrosinistra, si era più o meno timidamente mostrato possibilista nei confronti dell’atomo (si pensi all’ex ministro Veronesi). Insomma, oggi è solo il popolo che deve esultare. Lo deve fare perché ha dato prova di maturità, di coscienza, di consapevolezza. Ha fatto capire e, al contempo, ha compreso che la mobilitazione non è un’utopia, che è possibile fermare gli scempi, cambiare le cose, costringere una classe dirigente autoritaria ed arrogante ad abbassare la testa ed inginocchiarsi di fronte alla volontà popolare.
I comitati, la gente comune, gli anziani sugli autobus con il certificato elettorale in mano: un’onda commovente che è testimonianza di cambiamento, lo stesso che si è respirato a Napoli e Milano, un vento fatto di facce e di occhi, di gambe, di idee, di gente di ogni età ed estrazione sociale. Il successo del referendum è anche il successo di tutti coloro che da tempo lottano, in ogni parte d’Italia, contro gli assalti continui di speculatori, cementificatori, industrialisti, che minacciano, con l’avvallo della politica, l’ambiente e la salute dei cittadini. È la vittoria dei movimenti e dei comitati della Val di Susa, del Val di Noto, di Taranto, di Siracusa, di Priolo, Melilli ed Augusta, di tutte quelle realtà in cui si combatte per difendere il proprio futuro da scelte di sviluppo scellerate e pericolose. È la vittoria di padre Alex Zanotelli, il quale da anni scrive, informa, gira l’Italia e le scuole denunciando i tentativi di rendere privata l’acqua, ossia il bene comune per eccellenza. Se la gente si sta svegliando ed è andata a votare in massa lo si deve a tutti quelli che per anni sono stati attivamente impegnati in queste battaglie. Quelli che venivano sbrigativamente etichettati come “popolo del No” hanno stravinto scrivendo 4 Sì.
È una nuova consapevolezza che ha richiesto tempo e sforzi immensi. D’altra parte, si sa che i cambiamenti nascono sempre da un gruppo di persone, mentre la massa è sempre più lenta a recepire. Anche in chi oggi esulta per questa vittoria ci sono, ad esempio, persone ed esponenti politici che prima la pensavano diversamente o non si rendevano conto. Ma così come è legittimo invitare a non mettere cappelli, sarebbe sbagliato e inutile adesso prendersela con i ritardatari. La cosa più importante è aver conquistato anche loro, perché il cambiamento si realizza davvero quando si conquista il consenso di chi la pensava all’opposto: significa che le ragioni alla base di questo cambiamento sono concrete e profonde e si è riusciti a farle comprendere con chiarezza. Adesso bisogna mantenere viva questa mobilitazione, non sprecarla. E bisogna tornare a respirare l’immenso valore del voto, crocevia fondamentale, punto finale di un movimento di coscienze e insieme punto iniziale di un progetto concreto di rinnovamento. Nessuna svolta può avere futuro senza una legittimità politica data dal voto popolare.
Per questo bisogna recuperarne ed esaltarne il valore, costringendo la classe politica a confrontarsi con gli elettori, evitando di credere che il consenso ottenuto una volta basti a legittimare il proprio potere, perché se si prendono i voti e poi si impiega il tempo ad osservare il Paese crollare o a progettare la sua distruzione quel consenso non c’è più e non c’è più alcuna legittimità. E devi farti da parte. Berlusconi e i suoi invece non arretrano di un millimetro, se ne infischiano, non ascoltano. Peggio per loro. Sarà la gente a punirli. Perché, come cantava De Gregori, “è la gente che fa la storia” e “quando si tratta di scegliere e di andare, te la ritrovi tutta con gli occhi aperti, che sanno benissimo cosa fare”. Ed ultimamente anche in che modo votare…
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
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