Un’amarezza profonda, un senso di sconforto che va al di là del dolore per una vita umana che viene spezzata dall’arroganza e dalla crudeltà di chi si proclama decisore del destino altrui. Vittorio Arrigoni non è solo un uomo buono che è stato trucidato, privato barbaramente del suo respiro, dei suoi sogni, dei suoi ideali, della sua voglia di lottare. Vittorio Arrigoni è il simbolo di un tempo che fa paura, che sembra soffiare polvere scura su ogni colore che ci circonda, su ogni raggio di sole che prova a illuminarci. Quanta abitudine c’è a guardare in faccia (più spesso attraverso la mediazione di uno schermo) l’orrore? Quanto tempo passerà prima che anche questo volto gentile diventi solo un ricordo lontano? Ad avere memoria di lui, di quell’immagine terribile di un volto provato e sanguinante deturpato da una benda che è il simbolo della vigliaccheria di chi lo ha ucciso, saremo sempre meno, sempre gli stessi.
Quanti si ricordano oggi di Enzo Baldoni o di Antonio Russo e di tutti coloro che sono morti nella polvere di mondi lontani per raccontare la verità e per stare accanto a chi quella verità la subiva sulla propria pelle? Ci sono uomini e donne che scelgono e lo fanno in silenzio, lo fanno mettendo in gioco sé stessi, senza pensare troppo ai rischi che corrono, alle conseguenze. Non è questione di coraggio, ma di visione del mondo. Non accettano di stare fermi ad aspettare che qualcun altro si occupi di combattere contro le cose che non vanno, contro quei mali che ti colpiscono l’anima, che non sai accettare, anche se sono apparentemente lontani da te, quantomeno geograficamente. Vittorio non poteva star fermo, non riusciva ad accettare che in Palestina, a Gaza la popolazione soffrisse il dolore atavico della crudele occupazione israeliana, dei massacri, degli eccidi che sarebbero passati sotto silenzio se non vi fosse stato chi, come gli attivisti, denunciava, protestava, raccontava.
Un amico della causa palestinese, conosciuto ed apprezzato dalla gente di Gaza, ucciso da un gruppo di folli fanatici, legati ad Al Qaida. Ennesima dimostrazione che questa organizzazione criminale è nemica della causa palestinese, nemica del mondo arabo, nemica dell’Islam. Muore così, rapidamente, senza nemmeno il tempo che il mondo si rendesse conto di cosa sia accaduto, quest’uomo gentile. E un’ombra scura aleggia sopra chi ancora crede nella pace, negli ideali di giustizia, chi crede che il futuro possa essere libero dal dolore della guerra, dalla macchia sporca del terrorismo e dalle mani infette delle potenze che si contendono gli equilibri mondiali sulla pelle della gente, passando sopra a tutto, chiudendo gli occhi davanti ai massacri, alla violenza, alla crudeltà. Si respira un’aria pesante. Coloro che credono al cambiamento, che non si arrestano dinnanzi al passo minaccioso dei giganti del male, sembrano sempre più alberi che provano a non piegarsi dinnanzi ad un vento troppo forte, che spoglia i loro rami, disperde le loro foglie.
Dalla Palestina all’Italia, dall’Afghanistan alla Libia: attivisti, pacifisti, giovani, intellettuali, uomini e donne che mostrano la strada giusta, che provano a far capire quanto sia ovvia l’umanità, quanto sia naturale indignarsi di fronte all’orrore, combatterlo, non accettarlo, vivono momenti difficili, rimangono inascoltati, vengono derisi, insultati (vergognose le lettere offensive contro Arrigoni, pubblicate da Il Giornale), uccisi. Non si fa un passo in avanti o, se si fa, è subito seguito da un lungo balzo all’indietro. Un senso di pessimismo che addolora e angoscia, ma che non diventa rassegnazione proprio perché il sacrificio di uomini come Vittorio Arrigoni ci impone di andare avanti, ci invita a non smettere mai di sperare ed a continuare a lottare affinché questa umanità “resti umana” e non ceda all’orrore. Con la certezza di essere dalla parte giusta.
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
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