Look anni ’60 da malavita milanese. Un po’ Baustelle ma più leggeri. Questo in due parole, (riduttive) lo stile dei Telesplash, che escono con il nuovo album “Bar Milano”. Secondo noi ci sono almeno due punti di contatto con il gruppo di Bianconi. Un po’ il sound pop-rock che riscopre tanto gli anni ’60, quindi il loro gusto retrò, e poi la provenienza: toscani entrambi, provinciali entrambi, con quella voglia di conciliare i lisci delle feste dell’Unità e il lato nebbioso d’Italia. Ma una differenza fondamentale li separa. Innanzitutto lo spirito tutto intellettual(oid)e dei Baustelle, con i loro riferimenti colti, le frecciatine nascoste e tutta la sovrastruttura musicale maturata in anni di lontananza dai bei colli senesi.
I Telesplash non sono così. Dopo un inizio all’inglese, si sono buttati sull’italiano, quello hard-core della musica leggera, ballabile, comprensibile, cantabile. Nulla di eccessivamente “pesante”, ma neanche idiota o volgare o bassa. Semplice, campagnola, eppure moderna. Rispolverati i capelli ordinati, le basette lunghe e i baffi, il cantante e chitarrista Marco Rossi è la personalizzazione dello spirito del gruppo. Il fatto stesso di avere uno dei cognomi più comuni d’Italia non è un segnale? Avvicinarsi al pubblico, senza prenderlo in giro, senza schiaffeggiarlo, senza deriderlo. Fare spettacolo, in maniera intelligente. Qualcuno direbbe la RAI di una volta.
Un ritmo che prende, un sound quasi inconfondibile che mixa alla grandissima i toni leggeri ma senza scadere nel noioso. Geniale l’attacco di Ti dico tutto, scanzonata, estiva: “Lo sai che vorrei fare, vorrei tanto portarti al mare”. Tutto “Bar Milano” è una riscoperta di un mondo sepolto nelle memorie dei padri e delle madri dei trentenni di oggi. Interessante il confronto tra le Canzoni da spiaggia deturpata di Brondi (Le luci della centrale elettrica), quelle della generazione P e quelle dei genitori. Con i Telesplash anche i neodisoccupati-laureati-titolati-illusi di oggi riscoprono un po’ di quello spirito tutto italiano da boom economico. Ma non pensate che sia una fuga anni ’80, fatta di seni scoperti e voglia di dimenticare. Tutt’altro.
È voglia semmai di ricordare un passato felice, voltarsi indietro, ballare e poi fermarsi a pensare malinconicamente al come si stava una volta. È come chiacchierare con un (oggi) anziano che ricorda i balli nell’aia in occasione del raccolto. La terra, la fantasia, il pre-68, il pre-cambiamento. Un tuffo nel passato per riscoprirci nel nostro animo tricolore, fatto di verdi colline, lune bianche e passioni rosse. Una mezz’oretta di serenità, prima di tornare ai tram che si fermano per deriderci.
Penna Bianca –ilmegafono.org
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