Negli anni ’30 del secolo scorso, la spiaggia di Falconara Marittima, nei pressi di Ancona, era un luogo di villeggiatura come ce ne sono tanti sul mare Adriatico: sabbia, ville per i bagnanti e soprattutto tanta acqua salata e pulita, ricca di fauna ittica. In quel periodo, però, si stanno sviluppando in Italia i primi siti per il deposito di carburanti e le prime società per la commercializzazione e la distribuzione di prodotti petroliferi e l’imprenditore Ferdinando Peretti, assieme ad altri colleghi locali, decide di fondare l’Api. Inizialmente l’Api di Falconara è solo un deposito di combustibili situato sulla costa, vicino alle spiagge frequentate dai villeggianti. Ma nel 1950 cambia tutto, lo stabilimento si espande, inizia la raffinazione del petrolio e piano piano si impossessa di ben 70 ettari di terra per poi allungarsi fino al mare con la piattaforma petrolifera a 16 chilometri dalla costa ed un’isola con doppio attracco a 4 chilometri.
Nel giro di pochi anni, la raffineria Api di Falconara diventa un “grande polo energetico” italiano, secondo gli imprenditori del settore petrolifero, e un luogo da cui allontanarsi rapidamente per chiunque altro vi capiti davanti, anche solo di sfuggita. Ancora, negli anni Ottanta, a Falconara, il fetore derivante dal mix di sostanze tossiche emesse nell’aria dalla raffineria era insopportabile, anche a uno o due chilometri di distanza. Ma l’Api dava lavoro a moltissime persone e Falconara riusciva a sopportare quella convivenza forzata. Ed è riuscita a sopportarla anche dopo il grave incidente dell’agosto 1999 (due vittime) e dopo quello del settembre 2004 (un morto), forse perché le misure di sicurezza sono state rafforzate e perché si è provveduto nel tempo a depurare l’aria e a fare opere di bonifica. Ora però le cose sono cambiate: sono state effettuate indagini sull’impatto ambientale del sito, la sensibilità ecologica dei cittadini è cresciuta e da qualche tempo si parla di riconversione del sito industriale.
Il problema è che per l’Api la riconversione non prevede importanti opere di bonifica o investimenti nelle energie rinnovabili, ma vuol dire invece costruire nuovi impianti, nuovi “mostri” industriali, anche considerati da un semplice punto di vista estetico. È di qualche giorno fa, infatti, la notizia che l’iter organizzativo per un nuovo terminale offshore di rigassificazione al largo delle coste di Falconara Marittima sarebbe ormai quasi al termine. Mancherebbe solo la convocazione della Conferenza di servizi da parte del ministero dello Sviluppo economico.
I rigassificatori sono impianti che consentono di trasformare il metano liquido in metano gassoso. Il gas viene fornito al rigassificatore mediante navi cisterna (metaniere) e, una volta trasformato allo stato gassoso, il metano viene immesso nelle condutture della rete di distribuzione. La Regione Marche, nonostante le proteste di gruppi ambientalisti e movimenti cittadini, ha stabilito che il rigassificatore progettato a Falconara è compatibile con il Piano Energetico Ambientale Regionale. Eppure, consultando esperti del settore e informandosi sull’impatto ambientale dei rigassificatori, non sembrerebbe così.
I rigassificatori, infatti, rilasciano vapori di metano, sono i cosiddetti “vapori di boil off” e sono altamente infiammabili. Inoltre per costruirli si opera un dragaggio dei fondali con ben 4.500.000 metri cubi di fanghi. I serbatoi di contenimento del gas liquefatto per altro hanno un’altezza di un grattacielo di 17 piani, per non parlare poi delle sostanze inquinanti emesse nell’aria e delle masse enormi di acqua che rilasciano nella zona circostante con effetti dannosi sull’ambiente marino. Ci chiediamo allora come mai ci si ostini a difendere l’utilizzo e lo sviluppo di impianti per fonti d’energia esauribili in un’area per di più considerata “ad elevato rischio di crisi ambientale” come quella di Falconara, pur con tutte le rassicurazioni che l’Api fa su ambiente, salute e sicurezza. Perché allora non investire in altre fonti di energia o in impianti di trasformazione dei rifiuti in energia? Sono domande probabilmente destinate a rimanere senza risposta…
Giorgia Lamaro -ilmegafono.org
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