Un giovane tunisino di 26 anni, il 17 dicembre scorso, si è dato fuoco a Sidi Bouzid, a sud di Tunisi, per disperazione. Un gesto estremo e sconcertante di fronte alle ingiustizie sociali del Paese magrebino. Mohammed Bouazizi, laureato disoccupato, ambulante clandestino per necessità, ha deciso di darsi fuoco perché le autorità avevano sequestrato la sua bancarella di verdure, unico mezzo di sostentamento che gli era rimasto in una delle aree più depresse dello Stato. Mohammed aveva perso tutte le speranze di un futuro dignitoso e, pochi giorni fa, è morto in ospedale, in seguito alle gravissime ustioni riportate. Il suo gesto, però, per quanto estremo, non è rimasto inascoltato: Mohammed è diventato un martire, un simbolo dell’ingiustizia e dell’oppressione, in un Paese dove il 65 per cento della popolazione ha meno di 30 anni e la maggior parte è senza lavoro.
Dopo Mohammed, altri si sono dati fuoco, “immolandosi”, scrivono diversi giornali arabi, per la causa dei giovani. Migliaia di ragazzi e ragazze sono scesi in piazza in diverse città della Tunisia, e in altri paesi del Nord Africa, per protestare contro la disoccupazione, il carovita e le disuguaglianze economiche e sociali. A Tunisi, la rivolta spontanea dei giovani, poi chiamata “rivoluzione dei gelsomini”, è riuscita a cacciare il presidente Zine el Abidine Ben Ali, 74 anni di cui 23 al potere, considerato un tiranno, icona di un regime autoritario e oppressore. Perfino in Libia, dove il colonnello Muammar Gheddafi governa incontrastato ormai da oltre 40 anni, i giovani sono scesi in piazza, spinti anch’essi, come i tunisini, dalla disperazione e dalla volontà di un futuro migliore.
Pochi giorni prima che scoppiasse la rivolta a Tunisi, in Italia e in altri paesi europei, altri giovani, coetanei di quelli tunisini, erano scesi in piazza, per protestare contro uno “status quo” opprimente e inaccettabile e riappropriarsi del loro futuro. Un esercito di giovani, a Roma, come ad Atene e a Londra, ed ora anche nel “lontano” mondo arabo, ha deciso di far sentire la propria voce. E non è un caso che quella di Tunisi sia stata chiamata “la rivoluzione dei gelsomini”.
“In Tunisia i giovani manifestanti – afferma Adib Fateh Ali, giornalista curdo iracheno, da oltre trent’anni residente in Italia e con una notevole esperienza del mondo arabo – hanno dimostrato una grande maturità e determinazione. Per la prima volta, si sono ribellati spontaneamente, in assenza di motivazioni confessionali o di rivendicazioni antioccidentali, e pacificamente (perché sono stati i militari gli apparati di sicurezza a sparare sulla folla e a saccheggiare gli edifici, e non il contrario, ndr)”. Ed ora il mondo arabo ha paura. “I governanti arabi, primo tra tutti il presidente algerino, Abdelaziz Bouteflika, ultrasettantenne e da oltre 13 anni al potere, guardano con attenzione agli sviluppi della rivoluzione tunisina – continua Adib-. Temono un effetto domino che potrebbe destabilizzare definitivamente gli equilibri interni dei loro paesi e di tutta la regione”.
Quello che però è più sconcertante e che dovrebbe far riflettere, è che “anche l’Europa, in cui i giovani tunisini vedono un esempio di democrazia e un obiettivo da raggiungere, guarda con sospetto alla rivoluzione dei gelsomini”, spiega Adib. Il timore principale è che una rivoluzione così spontanea e priva di ragioni nazionalistiche o religiose contro l’Occidente, possa comunque rimettere in discussione l’equilibrio geopolitico di un’area come quella magrebina e mediorientale, importantissima dal punto di vista economico e strategico. “La Tunisia è il Paese dal quale passano il petrolio e il gas algerino – spiega ancora il giornalista curdo – e l’Occidente (in primis l’Italia) non ha alcun interesse a che quell’equilibrio così vantaggioso economicamente venga messo in discussione”.
In Europa, e in particolare nel nostro Bel Paese, tanto meno c’è interesse a esaltare la figura del giovane tunisino Bouazizi, che nel mondo arabo è ormai un eroe delle masse. “Quel giovane laureato, che non ha trovato un posto nemmeno per la sua bancarella, è molto simile ai ragazzi italiani, che si vedono chiudere in faccia tutte le porte – afferma Adib -. Certo è un giovane disperato, in un contesto peggiore del nostro, in cui molte famiglie non riescono nemmeno a procurarsi i beni di prima necessità, ma ricorda tanto i laureati, i precari e i disoccupati italiani e fa paura”. Non c’è da stupirsi quindi del fatto che i governi occidentali, fino alla clamorosa caduta di Ben Ali, lo abbiano sempre considerato il “figlio viziato dell’Occidente”, per la sua intransigenza nei confronti dei movimenti islamici, chiudendo un occhio sulla corruzione e sugli abusi dei diritti umani commessi in Tunisia.
Eppure, ora viene da chiedersi, come mai i paesi europei abbiano mitizzato figure come quelle dell’iraniana “Neda”, uccisa dalla polizia durante i giorni della “rivoluzione verde” a Teheran, o del giovane cinese che fermò i carri armati a piazza Tien an Men. Quei due ragazzi, giustamente, sono diventati simboli della libertà e della non violenza, e non sono diversi da Mohammed Bouazizi. Anche lui, come loro, ha deciso di protestare, di ribellarsi, a un sistema politico e ad un paese che lo avevano privato del futuro. Forse i tempi sono cambiati e, nel Vecchio Continente, come dice Adib Fateh Ali, si ha paura che il giovane laureato, precario e disoccupato Bouazizi ricordi troppo le condizioni della maggior parte degli studenti e dei giovani di casa nostra.
redazione -ilmegafono.org
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