Prima o poi doveva accadere ed è una fortuna che tutto si sia risolto senza conseguenze drammatiche. Il sequestro dei dipendenti dell’Agenzia delle Entrate, nel bergamasco, non è un fatto di cronaca, né un atto di reale disperazione, dato che a quanto pare l’uomo non viveva in una situazione economica tale da spingerlo ad un gesto del genere (si parla di non più di 1000 euro di debito con il fisco). Di certo però è un preoccupante segnale d’allarme. È stato il gesto isolato di un uomo stanco, ma questo non ci permette di star tranquilli, non ci consola né ci rassicura. La situazione di crisi in Italia fino ad ora ha prodotto solo proteste da parte di settori o categorie, qualche manifestazione civile e, in generale, lamentele. Nient’altro. Ma l’Italia è un vulcano che ribolle, perché non c’è nazione che abbia nervi così tesi da accettare tutto senza neanche sbattere i pugni sul muro. E la disperazione dei singoli è una bomba pronta ad esplodere, come un insieme di candelotti di dinamite sparsi in mezzo ad un giardino invaso da erba e sterpaglie.

Una bomba dalla potenza incalcolabile, perché riempita di rabbia stanca che non trova sfoghi o canali di contenimento in qualche formazione sociale, in quegli aggregatori capaci di depurarla dalle scorie più nocive e mutarla in protesta organizzata, in movimento culturale e politico di rivendicazione nei confronti di una politica che fa sentire il peso della sua colpevole e prolungata assenza. Vivere in maniera isolata, solitaria la propria condizione di frustrazione, di sofferenza trasforma i singoli in cellule impazzite che possono colpire da un momento all’altro, individuando bersagli in qualsiasi individuo abbia in qualche modo a che fare con i propri problemi e il proprio stato di privazione. Oggi i dipendenti dell’Agenzia delle Entrate, domani i dipendenti di una qualsiasi banca o di un ufficio comunale, lavoratori anch’essi, che vivono nello stesso sistema e che magari ne contestano regole e forme.

Vittime potenziali di cittadini con cui probabilmente si troverebbero a solidarizzare. Una guerra che si svolge dentro il popolo e che tocca il popolo, mentre ai piani alti si sta in poltrona a guardare chi si fronteggia, senza curarsi troppo di ciò che avviene in basso, perché c’è da celebrare il rigore, bisogna tener d’occhio l’Europa delle banche, i parametri di un’economia morta, vegliare gli ultimi scricchiolii di un sistema ormai fallito. Così non si ha tempo per pensare ai drammi quotidiani di gente che continua a tenere duro fino a quando non vede più uno spiraglio, non trova un attimo di respiro e percepisce di non aver più nulla, né da offrire né da perdere. Fino ad ora si era avuta notizia di suicidi e tentati suicidi, adesso è arrivato il primo atto offensivo, il primo tentativo di coinvolgere nel dramma chi ha la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Attenzione, sia chiaro che non vi è alcuna giustificazione per chi sfoga la propria disperazione e rabbia (tra l’altro nel caso bergamasco sembrano sussistere motivazioni deboli) su gente che non ha alcuna colpa, con lavoratori e cittadini che non c’entrano nulla con quella rabbia e quella disperazione. Ed è assurdo che la Lega trasformi l’atto folle di un imprenditore in un gesto quasi eroico, a tal punto da accollarsi economicamente la sua difesa legale. Al di là di questa vicenda, comunque, è arrivato il momento, per il governo e per i partiti che lo sostengono restando strategicamente nelle retrovie, di fermarsi a guardare quello che avviene nella società italiana (a partire dal preoccupante fenomeno dei suicidi) e di intervenire mettendo al primo piano i cittadini con misure che alleggeriscano i carichi di una crisi che non può essere pagata da chi ha conosciuto un progressivo impoverimento in questi ultimi anni, mentre chi ha speculato e si è arricchito sulla pelle dei lavoratori e dei consumatori rimane nella sua condizione di totale privilegio.

L’allarme è stato suonato, non è l’annuncio di una catastrofe certa o di qualche evento ineluttabile, ma di sicuro c’è un rischio alto, perché da più parti sta montando un senso di insofferenza che, in alcuni casi, si mischia alla delusione nei confronti di un governo che aveva portato tanti a sperare in un riscatto del Paese, in una ripresa lenta ma costante, pur con qualche sacrificio. Il tempo, fino ad ora, ha mostrato solo i sacrifici e il rigore; della crescita e della tanto propagandata equità non se ne scorge nemmeno un contorno. E alle lacrime finte di un ministro si sono sostituite quelle vere di chi non ce la fa più. Asciughiamole, prima che si mutino in marea.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org