Tra non molti anni gli storici si troveranno ad affrontare una spinosissima situazione: nei loro manuali dovranno parlare dell’ormai tristemente nota trattativa tra lo Stato e la mafia. Un capitolo della nostra storia che non può più essere ignorato né etichettato come “improbabile” o “impossibile”. Non è più ammesso che, nell’estremo tentativo di difendere la reputazione del nostro Stato, si ricorra alla solita obiezione che i pentiti non sono testimoni affidabili. Sarebbe molto più semplice, per chi nella giustizia crede veramente, poter pensare che lo stato italiano non abbia mai tradito se stesso, scendendo a patti con pericolosi criminali; purtroppo, però, non si possono ignorare le testimonianze (che tra l’altro coincidono) dei molteplici pentiti che hanno rivelato l’esistenza di tale trattativa, in taluni casi fornendo persino delle  prove documentali.

Tra i collaboratori di giustizia che ne hanno parlato agli inquirenti c’è Massimo Ciancimino, il quale lo scorso aprile avrebbe consegnato ai giudici il “papello” (come era solito definirlo Totò Riina) in questione, ovvero un dettagliato elenco delle condizioni dettate dalla mafia perchè cessasse il bagno di sangue scatenato dai corleonesi in seguito alle condanne, nel gennaio 1992, del maxi processo. Un periodo stragista molto intenso che portò all’uccisione di Salvo Lima e, pochi mesi più tardi, dei giudici Falcone e Borsellino e degli uomini delle rispettive scorte. Che la trattativa in questione si sia realmente svolta è stato più volte confermato anche dal boss Giovanni Brusca che, lo scorso 10 ottobre, nel corso di un’udienza del processo per favoreggiamento aggravato alla mafia a carico dell′ex generale dei Carabinieri, Mario Mori, e del generale Mauro Obinu, ha aggiunto, a quanto precedentemente dichiarato, un dettaglio temporale fondamentale: la trattativa sarebbe avvenuta prima della strage di Via D’Amelio.

“Incontrai Riina – ha dichiarato Brusca in aula –  a casa di Girolamo Guddo e lì, dopo esserci appartati per una decina di minuti, mi disse: ‘Finalmente si sono fatti sotto, gli ho consegnato il papello con le richieste scritte’”. “Ricordo adesso – ha continuato il collaboratore di giustizia – che l′incontro con Riina avvenne prima del 16 luglio, quando andai a casa di Salvatore Biondino, il suo autista, per chiedere una cortesia. In quell′occasione Biondino mi disse: ‘Siamo sotto lavoro’, e tre giorni dopo capii di che cosa si trattava”. La datazione dell’avviata trattativa tra la cosca e una parte deviata del nostro Stato (che tra l’altro coincide con quanto precedentemente dichiarato da Ciancimino jr e dal pentito Salvatore Cancemi) è importantissima, perché confermerebbe l’ipotesi della procura di Caltanissetta secondo la quale l′attentato a Paolo Borsellino sarebbe stato accelerato (o addirittura ordito) proprio perché il magistrato era venuto a conoscenza della trattativa ed era concreto il rischio che la ostacolasse.

Sull’argomento è intervenuto Salvatore Borsellino, fratello del giudice, che da anni porta avanti una battaglia per la legalità e perché la verità sulla strage di Via D’Amelio venga finalmente a galla. Salvatore Borsellino si è detto convinto (già da diversi anni) che la morte del fratello sia strettamente collegata alla trattativa tra mafia e Stato. “ Chiedo al senatore Nicola Mancino – aveva dichiarato in una lettera aperta nel 2007 – di sforzare la memoria per raccontarci di che cosa si parlò nell′incontro con Paolo nei giorni immediatamente precedenti alla sua morte. O spiegarci perché, dopo avere telefonato a mio fratello per incontrarlo mentre stava interrogando Gaspare Mutolo, a sole 48 ore dalla strage, gli fece invece incontrare il capo della Polizia Parisi e il dottor Contrada, incontro dal quale Paolo uscì sconvolto tanto, come raccontò lo stesso Mutolo, da tenere in mano due sigarette accese contemporaneamente… In quel colloquio si trova sicuramente la chiave della sua morte e della strage di Via D′Amelio”.

Ad oggi, Salvatore Borsellino ritiene che durante quel colloquio Mancino chiese al giudice di fermare le proprie indagini, probabilmente informandolo della trattativa. “Io – ha dichiarato pochi giorni fa – conoscendo Paolo e il suo senso dello Stato e delle istituzioni, ritengo che la sua reazione debba essere stata così violenta, così assoluta, così totale, tanto da minacciare anche di rivelare quella trattativa all’opinione pubblica che, a questo punto, non restava che eliminarlo ed eliminarlo in fretta”. Una pagina davvero agghiacciante ed imbarazzante della nostra storia. Agli storici, tra qualche anno, l’ingrato compito di provare a spiegare ai nostri figli, agli italiani di domani, come mai, agli inizi degli anni ′90, lo Stato, quell’insieme di “uomini potenti” che dovrebbero difendere la legge e la giustizia, ha avuto paura ed ha preferito piegarsi al volere di quegli stessi criminali che lo minacciavano, tradendo sé stesso ed i suoi più valorosi servitori.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org