“I popoli hanno il potere e non si arrenderanno mai”, recita uno striscione posto sull’Acropoli di Atene da un gruppo di militanti del sindacato greco Pame, per protestare contro il piano approntato dal governo Papandreu per salvare la Grecia dal fallimento. Parole chiare, immortalate da video e foto che in questi giorni stanno facendo il giro del mondo, insieme a quelle del soldato greco in lacrime e a quella (in realtà risalente a 2 anni fa) della polizia che maltratta Manolis Glezos, simbolo della resistenza greca ai tempi del nazismo. Un popolo che non ci sta a pagare il caro prezzo di una crisi che non deriva dal popolo ma che viene scaricata su di esso, divenuto vittima sacrificale al cospetto dei diktat di ghiacciata indifferenza imposti dall’Europa dell’unità bancaria che divora e seppellisce ogni forma di solidarietà. L’Acropoli, luogo di storia che diviene simbolo di lotta, lotta dal basso che si mostra dal punto più alto della città, affinché tutto il mondo possa vedere e nessuno possa fingere di ignorare.
Dalla Grecia all’Italia, da Atene a Milano, dove un gruppo di persone sta difendendo strenuamente il diritto al lavoro e, insieme, l’unità nazionale. Sono i lavoratori della Servirail, i quali da 2 mesi protestano contro il taglio dei treni notte operato da Trenitalia e il conseguente licenziamento di ben 800 lavoratori. Anche loro hanno scelto un luogo alto, una torre, quella che svetta sul binario 21 della stazione centrale di Milano, per far capire a tutti che non è solo il lavoro di 800 persone che si sta cercando di difendere, ma un bene comune, cioè un servizio essenziale per la coesione sociale e per l’unità del Paese. La soppressione dei treni notte rientrata nel piano dei tagli operati da Trenitalia rappresenta non solo un danno economico e un problema di sussistenza per 800 famiglie, ma anche un segnale grave di frattura tra il Nord e il Sud del Paese, una violenta scelta di esclusione di una parte della popolazione e di certe fasce sociali che di quei treni facevano uso.
Non c’è più spazio per loro, così come per quei lavoratori che erano parte di quel mondo che per anni ha permesso a milioni di persone di spostarsi, di dialogare, di “vedere” l’Italia, le sue tante facce. Scompare un pezzo della memoria italiana, qualcosa che è dentro tutti coloro che su quei treni hanno viaggiato, sperato, sognato. “Un danno non solo economico ma anche culturale e sentimentale, cultura e sentimenti di cui l’Italia ha ancora bisogno”, come ha recentemente detto il regista ed autore Renato Sarti in occasione di un’iniziativa a sostegno dei lavoratori svoltasi presso il teatro della Cooperativa di Milano. Quella di Mauro Moretti, ad di Trenitalia, è una scelta insensata, offensiva, arrogante, che avviene proprio all’indomani dell’Unità d’Italia. L’ha spiegata con l’ormai massiccia diffusione dei voli low cost, Moretti, ma è una bugia, se si pensa che pochi mesi dopo questa scelta è arrivata la notizia del prossimo assorbimento di due compagnie aeree low cost (Blu Express e Windjet) da parte di Alitalia.
Risultato? Si assottiglieranno sempre di più le tariffe aeree a basso costo, quelle che principalmente vengono utilizzate per i voli che collegano le città del Nord a quelle del Sud o alle Isole. Il quadro adesso è completo e sembra proprio che Moretti, come ha detto Agostino, uno dei lavoratori Servirail licenziati, “sia riuscito a fare quello che la politica non è riuscita a fare: vale a dire a dividere l’Italia”. Ma chi sta dietro a queste decisioni? A chi giova l’isolamento del Sud? Quali sono gli interessi imprenditoriali e finanziari che si muovono attorno a questa scelta? E perché nessuno, a livello governativo, interviene a sostegno di chi da mesi protesta su una torre, incurante delle temperature polari e dei rischi per la propria salute?
A pensar male, si direbbe che questa duplice botta ai trasporti che interessano il Meridione sia funzionale a “spingere” lo Stato verso l’accelerazione di progetti infrastrutturali come ad esempio il Ponte sullo Stretto, sul quale gli interessi in gioco sono tanti e rispetto a cui è stato deciso uno stop, con susseguente destinazione dei fondi del Cipe al rafforzamento delle strutture viarie e ferroviarie. E a tal proposito, sembrerebbe davvero strana e contraddittoria la coesistenza di un eventuale piano di potenziamento della rete ferrata con il ridimensionamento del servizio, a partire dal treno notte, e con il licenziamento di ben 800 persone. Quello che più colpisce è come la battaglia di questi lavoratori, sostenuti da un gruppo di cittadini che da mesi li accompagnano nella protesta senza mai lasciarli soli, non trovi risposte dal governo nazionale, visto che Moretti continua a tenere duro, mostrando perfetta sintonia con la linea “Marchionne”, ormai tanto in voga nel nostro Paese.
Se davvero si vuole equità, se si vuole allontanare lo spettro della secessione tanto cara alla Lega, bisogna intervenire dando risposte a questi lavoratori, garantendo il loro diritto all’occupazione e soprattutto facendo capire a Trenitalia che la scelta classista che tanto si rispecchia nella nuova composizione delle classi delle carrozze è un’offesa al cospetto della Storia italiana, che è una storia popolare, in cui l’unificazione delle tante realtà territoriali è stata aiutata e nutrita dal continuo scambio di visioni, culture, mentalità che nel treno notte, tra una chiacchiera e un sogno, hanno trovato un posto su cui viaggiare in direzione di un’unica stazione: l’Italia. Su quella torre, oggi, resiste la storia di un’intera nazione. Una storia di resistenza, perché ovunque, a Milano e a Roma come ad Atene, di fronte al Partenone o sopra il binario 21, i popoli non si arrenderanno mai.
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
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