È durata solo un paio di giorni la speranza di condurre davanti alla Corte penale internazionale dell’Aja uno dei criminali libici più efferati e potenti. Una speranza che si è frantumata sul muro degli interessi comuni e delle complicità fra il governo italiano e quell’establishment composito e oscuro che controlla la Libia. Il caso della scarcerazione del generale Najeem Osama Almasri Habish, meglio noto come Almasri, è l’emblema del patto perverso e continuativo esistente tra Italia e Libia e di come gli interessi in gioco valgano più di qualsiasi norma internazionale, dignità e sovranità nazionale. L’inchino imbarazzante di Giorgia Meloni, Carlo Nordio e di tutto il governo nei confronti degli “amici” libici, al di là delle sterili giustificazioni di facciata, mostra l’inadeguatezza, il servilismo e l’ipocrisia pericolosa della destra italiana, animata solo da fini propagandistici e da interessi economici che passano sopra ogni cosa, anche sopra la dignità e la giustizia nei confronti di migliaia di esseri umani.

Almasri, infatti, non è solo un generale, è il più potente garante della sicurezza del premier libico Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, ma soprattutto è l’uomo che, dopo essersi liberato dei capi clan più potenti, ha messo le mani sulla ricca regione costiera del paese nordafricano e sui traffici che passano da lì: petrolio, droga, armi, esseri umani. Il capo di un sistema complesso e criminale (come ha spiegato benissimo Nello Scavo su Avvenire). A proposito di esseri umani, Almasri è anche il direttore del centro di detenzione per migranti di Mitiga, uno dei tanti inferni libici, uno di quei lager nei quali l’Europa e l’Italia lasciano che migliaia di persone senza colpa vengano torturate, stuprate, uccise e spremute fino all’ultimo spicciolo. Esseri umani che, grazie alla complicità italiana ed europea, vengono catturati, costretti all’invio di altro denaro dalle famiglie, poi rimessi su una barca in direzione Italia e poi riportati indietro in nome degli accordi ignobili sulla ricerca e soccorso in mare.

Un meccanismo oliato e orribile che frutta molti soldi e assegna alla Libia un enorme potere di ricatto, oltre a gonfiare le tasche e i pugni dei trafficanti di uomini, della guardia costiera e del governo, tre parti del sistema che, nel Paese affacciato sul mediterraneo, coincidono. Un sistema al quale provano ad opporsi da anni le ong, con l’obiettivo di salvare le vittime, di evitare che possano morire in mare (come avviene ogni giorno) o finire nuovamente dentro il tritacarne libico. Ecco, Almasri è esattamente uno dei meccanismi più importanti di quel tritacarne: un uomo violento, spietato, assetato di sangue, che è accusato di essersi macchiato di atrocità, di crimini contro l’umanità, e che per questo motivo è destinatario di un mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale con sede nella città di L’Aja, in Olanda.

Arresto eseguito a Torino il 18 gennaio, ma risultato inutile grazie all’inerzia del governo italiano. Un’inerzia sospetta, che puzza di accordi e di trame oscure e che ha fatto sì che, per un “cavillo”, il criminale fosse rilasciato. In poche parole, il ministro della Giustizia, informato dalla polizia e dalla Corte d’appello di Roma, rispettivamente il 19 e il 20 gennaio, avrebbe dovuto chiedere la custodia cautelare del trafficante per poi consegnarlo alla Corte penale internazionale, che avrebbe così potuto processarlo e magari aprire uno squarcio sul sistema corruttivo, criminale e disumano vigente in Libia. Il 21 gennaio, dunque, in assenza di questa richiesta obbligatoria per legge, i giudici hanno dovuto scarcerare Almasri, che è stato immediatamente riportato in Libia con un aereo italiano e lì accolto con onori e feste. Tutto questo avveniva mentre il governo italiano taceva, con la premier che, come suo solito, giocava a nascondino con le sue evidenti e gravissime responsabilità.

D’altra parte, questo è un classico di Meloni e di questa destra codarda, che poi, come d’abitudine, invece di rispondere e spiegare, contrattacca. Nella fattispecie, prima accusando i giudici (ignorando volutamente quanto dispone la legge) e poi affermando, in modo grottesco, di aver espulso immediatamente Almasri poiché pericoloso per la sicurezza nazionale. Se non fosse tragico, sarebbe tremendamente comico. Meloni, dunque, ci avvisa della pericolosità del generale libico, come se la Corte internazionale, alla quale l’Italia lo ha sottratto, non stesse cercando di arrestarlo proprio per la sua caratura criminale. Imbarazzante persino immaginare come la premier sia arrivata a pensare di formulare una risposta simile davanti alle tante domande irrisolte e ai chiarimenti non forniti.

Ma si sa, la destra è questa. Usa un copione ripetitivo, come la successiva aggressione verbale pubblica, con tanto di menzogne su un presunto avviso di garanzia, con tanto di foglietto sventolato (che in realtà è un semplice atto dovuto di trasmissione e di informazione a seguito di un esposto presentato da un avvocato) e sul complotto delle “toghe rosse” (un magistrato di lungo corso e di idee non certo di sinistra) e sugli amici di Prodi (in verità l’avvocato denunciante è .Li Gotti, ex MSI, AN e IDV). Il complotto, dunque, il fantomatico ricatto, la vittimizzazione di se stessa usata esclusivamente per giustificare la guerra contro la magistratura e regolare i conti con la democrazia e i suoi contrappesi, e nel frattempo aizzare il popolo bue, quello incapace di discernere e informarsi, ma anche quello fazioso e consapevole.

Al di là di queste sceneggiate poco originali, la verità più cruda (e misera) è che la celebre promessa di dare la caccia agli scafisti (che sono peraltro dei pesci piccoli rispetto ai trafficanti) per tutto il globo terracqueo si è fermata davanti al rischio di incrinare i rapporti di interesse con il terrificante governo libico. E di dover subire la ritorsione dell’aumento degli sbarchi, con 500 arrivi, guarda caso, proprio lunedì (quando Almasri era ancora in cella a Torino). Insomma, per non gestire in modo umano, insieme all’Europa, degli esseri umani in cerca di futuro, si preferisce mettersi sotto il ricatto della Libia (e del suo potente alleato turco). Pur di non smontare la propaganda e di non intaccare la comoda logica del migrante “nemico”, si accetta qualsiasi cosa. Questa è la grande menzogna della destra italiana e delle destre sovraniste europee. Quelle che fanno i forti con gli ultimi, che avviano una guerra impari contro i disperati e contro chi verso di loro agisce in modo solidale, ma poi si inchinano ai veri criminali e a chi quei disperati li massacra e poi li sputa oltre i propri confini, lasciandoli a una tragica battaglia per la sopravvivenza.

Giorgia Meloni e il suo governo, con in testa Matteo Salvini, da anni giocano con questa grande menzogna, con la finta volontà di combattere i trafficanti o di aiutare i migranti “a casa loro” per fermare “l’invasione”, un refrain ripetuto anche dai loro pappagalli da tastiera o da quelli inviati a starnazzare nei salotti televisivi. In realtà, a loro dei migranti non importa nulla, né di quel che gli accade né di combattere chi li vessa. A Meloni, Salvini, ai loro alleati e ai loro colleghi sovranisti interessa solo poter continuare a usare i migranti come carne da macello, come ingrediente primario della propria propaganda, come spezia perfetta per la pietanza con la quale si serve il primo piatto del consenso elettorale. Lo dimostra quest’ultimo caso, ma lo dimostrano anche tante vicende passate. Ne citiamo una: nel 2017, dopo due anni di lavori e mediazioni per la riforma della Convenzione di Dublino, al Parlamento Europeo il testo non è stato votato dalla Lega e, allora, anche dai 5 stelle (all’epoca al governo con Salvini). I leghisti, che avevano votato no già in Commissione, si astennero infatti in Parlamento.

Una scelta che venne criticata da Elly Schlein, all’epoca relatrice del progetto di riforma per il suo gruppo S&D, e che risultava inspiegabile dato che prevedeva il ricollocamento automatico e permanente dei migranti, inserendolo come un obbligo per tutti gli Stati. Un tentativo di iniziare a superare alcuni aspetti della Convezione e alleggerire la pressione migratoria sui paesi di approdo, in primis l’Italia. Insomma, il “non possiamo accoglierli tutti”, sbandierato dalla Lega (e dalla destra), non fu e non è coerente con le scelte e l’attività politica del partito di Salvini, che all’epoca aveva come priorità quella di stare dalla parte del Visegrad, ossia il gruppo di nazioni composto da Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia, arroccato su posizioni xenofobe e contrario all’accoglienza dei migranti.

Così, il famigerato “prima gli italiani” è diventato “prima i padroni”, e le proprie promesse (anche se la modifica di Dublino era animata da uno spirito diverso e più solidaristico rispetto a quanto immaginato dai leghisti) sono state sacrificate come zerbino sotto i piedi del potente alleato Orbàn. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque: perché fascisti e sovranisti sono fatti così, sono bugiardi e soprattutto, storicamente, forti con i deboli e servizievoli con i potenti. La storia, ahinoi, si ripete, e purtroppo non solo in Italia.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org