L’estate è da sempre il tempo delle vacanze, per chi può permettersele. Ma anche la stagione delle “armi di distrazione di massa”. Si danno in pasto ai cittadini sotto l’ombrellone quegli argomenti che generano battute e sottintesi. Distrarre, appunto, per non parlare dei gorghi della palude in cui questo Paese sta sprofondando. Così, le chiacchiere, a metà strada fra il grottesco e il patetico, sulle gesta di un ministro ridicolo e incompetente, possono tornare molto utili per non parlare d’altro. È così da sempre in questo Paese: parlare di altre cose, prioritarie e concrete, spaventa e preoccupa, pone domande che esigono risposte, costringe a riflettere. Gaza e la Palestina bruciano, ma il calciomercato ci informa quotidianamente su chi saranno i campioni che cambieranno squadra. Si muore sul lavoro anche ad agosto, ma questo succede tutto l’anno, non fa notizia… E poi ci sono le carceri che scoppiano, i CPR che restano sempre lager di Stato che cambiano gestori ma i gestori poi sono sempre quelli, c’è un’Europa che si prepara ogni giorno di più all’abitudine a quella guerra che le diplomazie fanno di tutto per avvicinare. Ma si può sorridere ancora un po’ di quel ministro, così banale e così in linea con il governo del momento.
Poi ci sono i migranti, sempre loro, quelli che, incuranti del rischio, salgono su un barcone e attraversano il mare. Eppure il ministro Piantedosi, così maturo e responsabile (sic!), li aveva avvisati che attraversare il mare è pericoloso. Ma loro niente, sono testardi e continuano a farlo. E allora, il 1° settembre scorso, 28 persone salgono su un barcone che parte dalla Libia per inseguire l’utopia di una vita diversa, migliore. Quell’utopia però finisce a dieci miglia dalle coste di Lampedusa: 21 persone disperse, tra cui tre bambini piccoli. Sette uomini vengono recuperati dalla Guardia Costiera e portati in salvo: provati, esausti e sotto choc, ma salvi. Dopo il naufragio emergono alcuni fatti, che una volta di più pongono domande che non avranno mai risposte: l’ong Sea Watch pubblica una fotografia, scattata dal suo aereo di pattugliamento Sea Bird: nella foto si vede una barca con persone a bordo. Viene segnalata alle autorità competenti, ma non viene presa in considerazione da quelle stesse autorità e dimostra come, probabilmente, si sarebbe potuto intervenire in tempo per salvare tutte quelle persone.
Si sarebbe potuto, ma forse si è preferito ignorare. Il Mediterraneo, ancora una volta, stende le sue onde su un’altra strage: secondo i dati forniti dall’Onu sono oltre 30mila i morti e i dispersi nel suo mare dal 2014. Eppure il sindaco di Lampedusa, Filippo Mannino, dopo questo ennesimo naufragio sente il bisogno di affermare che “le politiche del governo stanno funzionando, lo dicono i numeri che parlano di oltre il 70 per cento di arrivi in meno e di una drastica riduzione di morti in mare”. È proprio da quelle politiche dei governi, di tutti i governi che si sono alternati in questo Paese, che è necessario partire per capire come dalla tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, in cui sono morte 368 persone, si è arrivati al drammatico e vergognoso presente. Politiche intrise di leggi e decreti che in ogni modo e con ogni mezzo sono diventate un mantra sulla sicurezza e un insulto all’umanità e all’antica legge del mare: il soccorso.
L’estrema sintesi di quell’insulto avviene dopo la strage di Steccato di Cutro, nella notte del 26 febbraio 2023, quando il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, indica come i primi responsabili siano proprio i migranti che scappano da guerre, miseria e povertà. Quella notte morirono 94 persone, tra cui 35 bambini, e il numero dei dispersi non si è mai saputo. Ma il ministro Piantedosi ha ricevuto l’applauso del suo governo e di tanti cittadini ed elettori.
Ci sono poi altri colpevoli, sempre secondo ministri e governi: le ong che prestano soccorso in mare. È contro di loro che, da anni, si combatte una guerra sporca e vigliacca. Esiste una data precisa da cui partire per osservare e capire l’infamità di questa guerra: è il dicembre 2016, quando l’allora premier Gentiloni e il ministro dell’Interno, Marco Minniti elaborano un dossier sui “flussi migratori in Italia”. Nel dossier si afferma testualmente che “l’incremento delle partenze dalla Libia e dei successivi sbarchi in Italia, trova una concausa nella massiccia presenza di assetti navali, appartenenti o gestiti dalle ong, che pattugliano nel sud del Mediterraneo”. La propaganda della destra razzista, una volta arrivata al governo, creerà poi la leggenda dei “taxi del mare”. Ma è quel dossier il punto di partenza di inchieste giudiziarie che dureranno anni. Una su tutte è il simbolo di questa vergogna: l’inchiesta sulla nave “Iuventa”, colpevole di non aver accettato e sottoscritto il codice di condotta per le ong deciso dal governo Gentiloni-Minniti. Colpevole di aver disobbedito a quel codice.
La nave fu sequestrata nell’agosto 2017, dopo aver salvato oltre 14mila esseri umani. Nel 2024 i giudici hanno stabilito che l’accusa era infondata e che non fosse nemmeno necessario andare in giudizio. Ma la nave, ferma e corrosa dalla salsedine, era ormai inservibile, non più in grado di navigare. Ma la lotta alle ong continua, così come continua il fermo amministrativo delle navi che salvano vite. Negli ultimi giorni di agosto, le autorità italiane hanno emesso un provvedimento di fermo amministrativo di 60 giorni nei confronti della “Geo Barents”, la nave di ricerca e soccorso di Medici Senza Frontiere. Provvedimento emesso in seguito alle diverse operazioni di salvataggio avvenute nelle prime ore del mattino del 23 agosto nel Mediterraneo centrale. Quel giorno la Geo Barents ha condotto ben 5 operazioni di salvataggio, e l’accusa è di non aver fornito informazioni tempestive per la terza operazione, avvenuta dopo che il team aveva visto un numero significativo di persone finire in acqua nelle vicinanze della nave. È la ventitreesima volta che una nave di soccorso umanitario viene fermata dal “Decreto Piantedosi”, concepito per ostacolare le attività salvavita delle ong in mare.
Juan Matias Gil – capomissione responsabile di Medici senza Frontiere per la ricerca e il soccorso in mare – ha dichiarato che “questa è l’ennesima dimostrazione di quanto il decreto Piantedosi non solo contravvenga alle leggi internazionali ed europee, ma sia anche in contrasto con l’obbligo di agire in situazioni di necessità quando ci sono in pericolo vite umane. Le autorità ci costringono a scegliere tra il salvataggio delle persone in mare e la prosecuzione delle attività. Ma la salvaguardia della vita umana è al centro della missione di MSF; contesteremo, quindi, questa detenzione illegittima seguendo le opportune vie legali”. Pochi giorni dopo, e siamo già a settembre, è il turno della Sea-Watch 5: viene bloccata a Civitavecchia, dove aveva portato in salvo 289 persone.
Il motivo del fermo supera il limite dell’incredibile: aver prestato soccorso senza chiedere prima, e aver ottenuto poi, il permesso delle autorità libiche. Le autorità libiche, le stesse in combutta con i trafficanti di esseri umani e corresponsabili dei lager dove vengono detenuti i migranti, le stesse la cui Guardia Costiera è il frutto dei vergognosi accordi stipulati dal vecchio governo Gentiloni e dal suo ministro Minniti, accordi mai abortiti e sempre rinnovati ogni anno da tutti i governi italiani. Sea-Watch 5 era già stata bloccata nel mese di marzo a Siracusa, per venti giorni. In seguito, la Corte di Ragusa aveva sospeso il fermo amministrativo. In quei giorni di blocco della nave, nel Mediterraneo sono morte 150 persone. “La decisione della Corte di Ragusa – commentò Sea-Watch – mostra nuovamente l’inesistenza delle accuse che vengono di volta in volta rivolte alle navi ong, con l’unico scopo di bloccarle in porto. Il provvedimento va a sommarsi a quelli analoghi adottati dalle corti di Brindisi rispetto alla nave Ocean Viking e di Crotone rispetto alla nave Humanity 1”.
Per questo, oggi, le dichiarazioni del sindaco di Lampedusa risultano davvero inaccettabili. I numeri raccontano quello che si sceglie di vedere, ma quando si svuota il mare di testimoni ci sono numeri fantasmi accanto a quelli ufficiali. A questa lettura ipocrita e fuorviante dei numeri contribuisce anche gran parte dell’informazione, disposta al silenzio e asservita al governo di turno. La guerra alle ong diventa allora una guerra contro poveri e migranti: criminalizzare la solidarietà e il soccorso in mare, con l’accusa di favorire l’immigrazione clandestina, serve a catturare voti e a garantire un potere che si nutre di paura e malafede. Serve a mettere fuorigioco i testimoni. È una guerra, ma in ogni guerra esistono lotte di Resistenza e disertori, diventa una scelta di vita farne parte. L’estate sta finendo e il tappeto sotto cui si nascondono le menzogne, il razzismo, le volgarità e l’incapacità di un’intera classe politica e di governo, si bagna con le prime piogge e si restringe, si ritira.
Sta a tutti noi provare a scuotere quel tappeto, gettarlo via. Si tratta di scelte di vita, come sempre.
Maurizio Anelli -ilmegafono.org
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