Alla fine, pur in una dimensione fortemente segnata da un allarmante astensionismo, che dovrebbe far riflettere seriamente, le elezioni hanno emesso verdetti e disegnato scenari politicamente interessanti sui quali vale la pena soffermarsi. Partiamo da Fratelli d’Italia che, fino a qualche tempo fa, sperava nel risultato ottenuto da Renzi e dal PD nel 2014 (40%), per poi, in mezzo a tanti errori e a sondaggi molto lontani da quel dato, spostare le aspettative sul 30%. Nelle ultime settimane prima del voto, l’obiettivo reale del partito di Meloni veniva però indicato nel pareggio con il dato delle ultime politiche (26%), quelle vinte e valse la conquista del governo. In questo gioco di bersagli mobili e paragoni salvifici tra competizioni elettorali diverse (nei meccanismi e nell’affluenza), alla fine è arrivato un 28,7%, che per il primo partito al governo è un buon risultato.

Lo è perché segna una risalita rispetto a quanto registravano gli ultimi sondaggi pubblicati e lo è anche perché certifica la solidità del consenso dell’esecutivo italiano in un momento nel quale i governi degli altri Stati europei hanno subito botte più o meno forti. Giorgia Meloni ha subito gongolato, esultato, aizzando il suo popolo tra sorrisi, consueti cerimoniali pseudo-patriottici, battute e mazzi di fiori. Lo scenario europeo, inoltre, ha aggiunto un certo entusiasmo a destra, anche in chi finge di essere atlantista e prova a mostrare un’immagine diversa dall’anima nera che in realtà ne pervade il corpo. La composizione del Parlamento europeo, dove le destre sovraniste saranno agguerrite ma dove la maggioranza rimane saldamente in mano alle forze europeiste, dirà molte cose sul futuro delle formazioni di destra avverse al sistema di cui sono parte e che oggi appaiono floride, seppur con delle profonde differenze relativamente ai diversi contesti nazionali.

La destra di governo italiana, ad esempio, ha retto abbastanza bene al voto, perché in buona parte (fa eccezione Forza Italia) essa costituisce una forza anti-sistema che detiene già il potere dopo aver spinto molto su posizioni di critica dura e di attacco all’Unione. Peraltro, nell’ultimo periodo, il governo Meloni ha avuto buon gioco nel prendere le distanze dalle aggressive ipotesi belliche avanzate da Francia e Germania. A tal proposito, non è un caso che proprio Francia e Germania, identificate come il cuore dell’establishment europeo e ritenute le principali responsabili delle politiche di austerità dell’Unione, oltre che di quelle particolarmente aggressive sulla questione Russia-Ucraina, siano state punite dagli elettori, con il Paese transalpino che tra poche settimane, probabilmente, vedrà l’estrema destra di Marine Le Pen conquistare per la prima volta il governo della nazione.

La situazione è indubbiamente molto seria, ma l’avanzata sovranista non è stata così dirompente come qualcuno sostiene. Ci sono dei segnali importanti, infatti, che vanno considerati: il calo di consensi di Orbàn in Ungheria; l’affermazione complessiva delle forze moderate che fanno capo al PPE; i socialisti che nell’insieme reggono e perdono poco; infine, una buona affermazione della sinistra. In Italia, la situazione, malgrado la conferma di FdI come primo partito, per la destra è meno rosea di quel che appare. Innanzitutto, perché la Lega continua a galleggiare nella grottesca visione politica di Salvini, che oggi celebra l’orribile Vannacci ma che continua a contare sempre meno, non solo nell’alveo del centrodestra, ma anche in Europa e, non ultimo, all’interno dell’elettorato tradizionale della Lega. Il leader leghista, per nascondere il suo inesorabile declino, continua appositamente a fare riferimento alle elezioni politiche, perché se dovesse guardare poco più indietro, dove sarebbe più logico guardare, vale a dire il dato delle precedenti elezioni europee (34% allora, 9% oggi), suderebbe freddo.

Forza Italia intanto cresce, reggendo anche al dopo Berlusconi (e non era facile), ma non sfonda, perché l’attesa emorragia di moderati dai partiti più centristi non è stata di dimensioni così bibliche e non si è automaticamente buttata tra le braccia dei forzisti. Così come non è andata a cercare alloggio dentro Azione o Italia Viva, protagonisti di una debacle che probabilmente darà una mazzata definitiva alla disastrosa politica dei rispettivi leader. Che però, invece di interrogarsi sui loro tanti errori e su una idea ibrida del posizionamento politico, continuano a litigare, a darsi addosso. Contenti loro…

Altro sconfitto è il Movimento Cinque Stelle che, al di là della rispettabile coerenza su alcune scelte (vedi il no all’invio delle armi in Ucraina), ha prodotto poco in questi mesi, preoccupandosi più di gestire più o meno polemicamente il campo largo con il PD, invece di provare a costruire con continuità e fiducia qualcosa di alternativo alle destre, che passi anche dal dialogo e dalla mediazione con gli alleati. Cosa che, al contrario, ha fatto benissimo AVS, ossia la ormai rodata alleanza tra Sinistra Italiana e Verdi, gruppo che ha ottenuto un risultato inatteso ed enorme, sfiorando il 7%. La formazione di sinistra e ambientalista ha trionfato soprattutto tra i giovani, risultando non solo credibile, sia nella scelta delle candidature sia nella difesa dei propri principi, ma anche affidabile rispetto alla capacità di dialogare all’interno di un campo largo del centrosinistra e di lavorare sulle idee comuni, pur nella diversità, anche marcata, di posizioni su alcuni temi (come la guerra e l’invio delle armi).

Infine, l’affermazione più importante, che potrebbe segnare una svolta interna all’opposizione, è stata quella del PD, che supera il 24% (dato che nemmeno i sondaggi più ottimistici immaginavano) e riduce a 4 punti percentuali il distacco dal partito di Meloni. Ha avuto buon esito, dunque, il lavoro di Elly Schlein, che ha condotto una campagna elettorale sui temi, sottraendosi alla tentazione dell’insulto, ricucendo pazientemente gli strappi interni e iniziando un percorso, seppure ancora lungo e difficilissimo, di cambiamento del partito, nonostante le tante resistenze ancora forti. Il tutto tendendo sempre la mano ai potenziali alleati, con i quali provare a opporsi alla destra autoritaria che governa il Paese, riuscendo a uscire fuori dalle sabbie delle questioni locali e insistendo, laddove possibile, su quel campo largo che, alle amministrative, ha permesso di vincere (e in alcuni casi di stravincere) in tante città importanti.

Non è sufficiente, certo, perché in mezzo ci sono ancora tanti errori da correggere e anche tante aree nelle quali si pagano le conseguenze di un certo tipo di gestione del PD troppo simile al passato, ma il risultato è senza dubbio notevole e dà alla segretaria dei democratici molta più forza, anche nella costruzione di una opposizione che possa sfidare e battere il governo nei prossimi appuntamenti elettorali. Di sicuro, questo risultato politico ha dimostrato che la scelta dei contenuti e del dialogo con gli alleati, il saper superare la polemica in nome della ragion di Stato e il rifiuto di qualsiasi forma di narrazione arrogante (che paga solo quando hai in mano il potere) funziona. E apre una strada nuova e interessante a sinistra, lasciando la destra molto meno tranquilla di come, tra smorfiette e sorrisi, la premier sovranista vuole far credere. Vediamo chi (e in che modo) saprà percorrere questa strada e cogliere le opportunità che essa metterà in gioco. I semi sono stati piantati.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org