Triplicare il nucleare da qui al 2050. È la preoccupante decisione che Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Giappone, Emirati Arabi Uniti e altre 17 nazioni hanno annunciato alla Cop28, la Conferenza sul Clima in corso a Dubai. Una scelta inquietante e insensata che peraltro potrebbe anche rivelarsi poco utile ai fini della lotta alla crisi climatica. Questa decisione, infatti, non tiene conto di molti fattori, tra cui i tempi e la gestione delle scorie. Non è un mistero che la realizzazione di una centrale nucleare richieda ingenti costi e tempi lunghissimi e l’annunciata triplicazione della potenza nucleare installata, se si considerano gli impianti che nel frattempo andranno dismessi e il tempo necessario per la costruzione di quelli nuovi, non influirà sull’apporto complessivo che il nucleare dovrebbe dare, nel 2050, alla produzione di energia elettrica. Ciò significa che, nel 2050, il nucleare non contribuirà ad un aumento della produzione di energia pulita.
Inoltre, la gestione delle scorie radioattive non è un problema da sottovalutare. I reattori di IV generazione su cui molti Paesi vorrebbero investire riducono sì la produzione di scorie, ma non la azzerano e, allo stesso tempo, per tanti Stati, tra cui anche l’Italia, resta il problema di come conservare le scorie già prodotte in modo sicuro, dato che esse mantengono il loro potenziale distruttivo per migliaia di anni. Perché allora investire miliardi di dollari in una tecnologia che risulta costosa, impegnativa e forse poco utile per la lotta ai cambiamenti climatici? Sicuramente il ricorso al nucleare permetterebbe ai Paesi europei una maggiore indipendenza dal petrolio e dal gas della Russia e consentirebbe, nel lungo periodo, di far aumentare la produzione di energia poco inquinante. Questo tipo di tecnologia sarebbe però appannaggio solo delle nazioni che hanno le risorse economiche per svilupparla, senza dimenticare il problema delle scorie e degli incidenti, potenzialmente devastanti.
L’Italia, fortunatamente, non ha aderito alla dichiarazione della Cop28 di Dubai, perché, ha detto la premier Meloni, il Paese resterebbe indietro nello sviluppo del nucleare. La premier ha aggiunto che in Italia si sta lavorando sulla “fusione nucleare” invece che sulla fissione, alla base del funzionamento delle centrali esistenti. Nel 1987, tuttavia, la maggioranza degli italiani ha detto no al nucleare tramite referendum ed è difficile che i nostri concittadini ritornino su questa saggia decisione. Non va sottovalutato, peraltro, il fatto che investimenti miliardari nella ricerca sul nucleare impediscono di sperimentare nuove fonti più sicure.
Se invece investissimo le risorse economiche, impiegate per la ricerca sul nucleare, in altre tecnologie e sullo sviluppo delle fonti rinnovabili? Solo in Italia, tra gennaio e settembre di quest’anno la produzione di energia rinnovabile, da fonti idroelettriche e dal fotovoltaico, è aumentata dell’11%. Secondo Terna, però, per raggiungere gli obiettivi del 2030 occorrerebbe moltiplicare per 10 la potenza installata. Allo stesso tempo, dovrebbe esserci lo stop a tutti i nuovi investimenti in infrastrutture fossili, spinti dai soliti grandi gruppi energetici. Sono obiettivi ambiziosi e per molti irrealizzabili, ma sicuramente più adeguati ad una vera transizione ecologica rispetto a una tecnologia, il nucleare, che nel tempo si è dimostrata poco conveniente e poco sicura.
Redazione -ilmegafono.org
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