Lo scorso 29 settembre, a Vienna, nel corso della conferenza annuale dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), intitolata “Annual Experts Meeting on transnational organized crime”, si è discusso delle nuove strategie da mettere in atto per sconfiggere la criminalità organizzata transnazionale. Quel che potrebbe apparire quasi come un miraggio (con criminalità organizzata transnazionale, infatti, non si intende la mafia o una tipologia specifica, ma qualcosa di più ampio che va al di là dei confini nazionali), in realtà è il frutto di vari studi che hanno come unico obiettivo il contrasto e la sconfitta del crimine organizzato che infetta tutti i Paesi del mondo. Compresi quelli dell’Unione Europea.
In un rapporto realizzato dal Parlamento Europeo proprio sul tema della lotta alla criminalità organizzata, è emerso come questa sia una “minaccia concreta per tutti i cittadini, nonché per le aziende, le istituzioni e l’intera economia europea”. “Nel 2019 – si legge sempre nel rapporto – gli introiti illeciti ricavati dai mercati criminali avrebbero raggiunto quasi l’1% del PIL dell’UE, pari a circa 139 miliardi di euro”. Una cifra enorme, spaventosa, ma che deve far riflettere sulla potenza economica (e non solo) che queste organizzazioni criminali hanno un po’ dappertutto. “Le organizzazioni – si legge – sono presenti in tutte le nazioni europee e vanno ben oltre i confini: il 70% di questi gruppi criminali, infatti, sono attivi in più di 3 stati membri. Tra le attività più importanti a livello criminale ci sono sicuramente spaccio di droga, cybecrime, frode, traffico di migranti e di esseri umani in generale”.
Insomma, la criminalità organizzata transnazionale è un problema serio e, per la prima volta da qualche anno, pare che persino in Europa se ne siano accorti. A testimonianza di quanto detto, proprio l’OSCE ha voluto porre l’attenzione su questo tema. Nel corso dell’evento, tra gli altri, è intervenuto anche Vincenzo Musacchio, criminologo e docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale al Riacs di Newark (USA). Secondo il professore, occorrono “serie politiche sociali e culturali” affinché si possano prevenire una volta per tutte le attività illecite della criminalità organizzata. Nello specifico, bisogna “prevenire l’espansione vertiginosa della criminalità organizzata attraverso un approccio globale che coinvolga l’intera comunità europea e internazionale”. Per far ciò è necessario rafforzare “il coordinamento tra le istituzioni nazionali e quelle europee”, senza tralasciare l’aspetto globale che è altrettanto importante.
“Le risposte alla criminalità organizzata – continua Musacchio – dovranno essere per forza globali e dovranno affrontare i numerosi fattori scatenanti” che si fanno sentire in tutto il mondo, tra cui l’erosione dello Stato di diritto, l’infiltrazione “nei processi politici, economici e finanziari” e l’alimentazione della corruzione e della violenza a discapito delle persone più deboli. Secondo il criminologo, per poter far fronte a queste minacce transnazionali, è fondamentale il ruolo dei collaboratori di giustizia, così come l’uso delle moderne tecnologie di intercettazione e le confische dei patrimoni illeciti ante delictum. Insomma, secondo il professor Musacchio, è importante disporre di “una vera agenda internazionale comune e condivisa”: senza di essa, infatti, ogni sforzo fatto dai singoli Stati sarà vano o, nella migliore delle ipotesi, comunque limitato.
Proprio il cosiddetto asset recovery (o recupero dei beni) è uno dei temi centrali delle nuove strategie delineate dall’OSCE. Tra queste, vi è “l’aumento dell’uso e dell’efficienza del sequestro e della confisca dei beni attraverso una cooperazione regionale maggiormente efficace”. Ciò, secondo l’OSCE, è possibile attraverso cinque attività da mettere in pratica, tra cui la collaborazione tra le forze di polizia degli Stati membri, la revisione dei casi legali di sequestro di beni e la relativa formazione di giudici e magistrati”. Visto dal nostro Paese, tutto ciò può sembrare antiquato e forse persino superfluo. Purtroppo, però, la consapevolezza sul tema della criminalità organizzata da parte dell’Europa è lontanissima dai livelli italiani e suggerimenti come la formazione ad hoc per gli inquirenti sono da tenere in considerazione. Le strategie proposte dall’OSCE sono tre e ognuna di esse prevede l’attuazione di più attività da parte degli stati membri.
Sarà difficile mettere d’accordo tutti e lo sarà ancor di più fare in modo che ogni singolo Stato agisca con determinazione e immediatezza. Stati in cui la criminalità organizzata è un problema relativamente nuovo (o semplicemente Stati nei quali non si vuole prendere coscienza del suo radicamento) non saranno contenti di spendere tempo, soldi e fatica in tal senso. Qualunque sia il futuro che ci aspetta da qui a pochi anni, appare evidente come l’unione e la collaborazione rivestano una crescente importanza nella lotta alla criminalità organizzata. Proprio questo spirito di collaborazione, però, sembra poter essere lo scoglio più arduo. Per tutta una serie di motivi di contesto e di consapevolezza. Ostacoli che speriamo possano essere superati nel più breve tempo possibile.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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