I numeri registrati sugli allevamenti intensivi in Italia e nel mondo raggiungono cifre preoccupanti, tanto da sembrare quasi inverosimili. Ogni anno vengono macellati 75 miliardi di animali a livello globale ma, se guardiamo in casa nostra, la situazione non è affatto più rosea. Solo in Lombardia, nei capannoni degli allevamenti intensivi, sono stipati circa 5,8 milioni di animali tra maiali e bovini. Ma c’è dell’altro: questa modalità di allevamento, oltre a essere brutale, è una fonte di inquinamento assai impattante per le emissioni di ammoniaca e per i liquami prodotti dagli animali stessi. Si tratta della seconda causa di inquinamento da polveri sottili.
Un sistema di produzione che, oltre a incrementare sofferenza e devastazione, di suoli e foreste, si attesta anche tra le principali fonti di squilibrio in natura. È proprio su questo tema che l’Europa si appresta a prendere decisioni importanti: sono in corso gli aggiornamenti della direttiva per ridurre le emissioni industriali, comprese quelle degli allevamenti intensivi. Un quadro che sembrerebbe aprire importanti spiragli, ma purtroppo c’è chi osteggia queste decisioni.
Possiamo partire dal punto di vista del ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare, Francesco Lollobrigida. Secondo il ministro le emissioni tossiche degli allevamenti intensivi non sono paragonabili a quelle prodotte dall’industria, quindi rendere più virtuoso il sistema alimentare diventa fattore secondario. Non c’è molto da stupirsi in fondo: il governo di cui fa parte Lollobrigida ha più volte dimostrato di non avere a cuore le sorti dell’ambiente, relegando il cambiamento climatico a una serie di battute di spirito sulle piogge e la siccità come fenomeni complementari, come se l’uno lavasse via l’altro. Poveri noi, ci sarebbe da aggiungere.
A far da eco c’è il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, il quale sostiene che certi provvedimenti potrebbero provocare la chiusura di molti allevamenti di “dimensioni medio-piccole”. Senza pensare, invece, che potrebbe essere una spinta verso comportamenti e politiche più sostenibili, anche in quel settore. Continuare a finanziare gli allevamenti intensivi con i fondi pubblici incoraggia infatti politiche di distruzione, sofferenza e deforestazione, oltre a rappresentare un rischio anche per la salute dei cittadini. Alcune lobby e forze politiche cercheranno di ostacolare le decisioni dell’Europa. Greenpeace ha allora lanciato una campagna sul tema e ha reso disponibile sul proprio sito una petizione per provare a fermare tutto questo. Per firmare clicca qui.
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