Il Salone Internazionale del Libro di Torino nasce nel 1988 da un’idea e dalla volontà di Angelo Pezzana, libraio proprietario della libreria Luxemburg e fondatore di “FUORI!” – associazione per i diritti degli omosessuali nata negli anni Settanta -, e di Guido Accornero, un imprenditore impegnato nella casa editrice Einaudi. Con il tempo diventa la più importante manifestazione editoriale italiana e fra le più apprezzate in Europa. Conosce momenti difficili, i finanziamenti non arrivano o arrivano in ritardo. Il 2017 è l’anno più difficile e il rischio della chiusura definitiva è reale, ma la vita del salone non si ferma, continua e si nutre di nuova linfa. Si arriva così al presente e il “Salone del Libro” accoglie ogni anno centinaia di editori che, in accordo con il Direttore editoriale, organizzano incontri con autrici e autori italiani e internazionali: l’edizione conclusa pochi giorni fa – l’ultima sotto la guida di Nicola Lagioia – ha contato oltre 215.000 visitatori in 5 giorni, il numero più alto di sempre.

Questo ultimo atto ha lasciato però uno strascico importante e pericoloso, che pone interrogativi inquietanti che non possono essere sottovalutati o ignorati, perché evidenziano una realtà di questo Paese che in troppi sembrano non considerare: il confronto delle idee e la contrapposizione politica, inevitabili e necessarie in una democrazia, generano dissenso. Ma il potere non accetta il dissenso perché non è in grado di reggerlo e chi lo rappresenta reagisce sempre con rabbia e arroganza. Quando chi rappresenta le istituzioni ha un concetto e una visione dei diritti e delle libertà che non ammette nessuna espressione di dissenso, si percorre un piano inclinato dove il concetto stesso di “democrazia” scivola pericolosamente su un altro terreno. Questo è accaduto al Salone del Libro di Torino appena concluso.

Andiamo con ordine. Eugenia Maria Roccella è presente al Salone del Libro per la presentazione del suo ultimo libro: “Una famiglia radicale”. Non è il suo primo libro, ne ha già scritti altri e in ognuno di questi ha sempre rimarcato posizioni personali oggetto di critiche e dissenso. È necessario allora, per capire il contesto in cui sono maturati i fatti di Torino, conoscere qualcosa di più su Eugenia Maria Roccella. Giornalista e scrittrice è anche, o soprattutto, soggetto attivo della politica: ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità dell’attuale governo, nel 2007 diventa portavoce del Family Day (la manifestazione di sostegno alla famiglia formata da un uomo e una donna), mentre nel 2013 fonda “Di mamma ce n’è una sola”, comitato contro l’utero in affitto.

Scrive un libro dedicato alla drammatica vicenda di Eluana Englaro: “Eluana non deve morire”, questo è il titolo. Nel 2019, Eugenia Maria Roccella dichiarò che “sulla questione antropologica manca un dibattito e una riflessione da tempo. Ho scritto questo libro dopo 10 anni. Allora abbiamo fatto una battaglia per difendere l’idea di persona e non solo la vita preziosa di Englaro. Lo abbiamo fatto perché bisogna difendere la vita a prescindere dalla condizione…Se la vita non è sempre sacra, lo scivolo è inevitabile e non si sa dove si va a finire”. All’epoca della vicenda di Eluana Englaro, Eugenia Maria Roccella era sottosegretaria alla Salute nel governo guidato da Silvio Berlusconi. Doveroso ricordare l’appello firmato insieme a Roberto Formigoni e altri, nel gennaio 2011, rivolto ai cattolici italiani per sospendere ogni giudizio morale nei confronti di Silvio Berlusconi.

Nell’attuale governo, fortemente schierato nel ribadire l’importanza della famiglia tradizionale come elemento fondante della vita delle persone e nell’avvalorare in ogni occasione il concetto “Dio-Patria-Famiglia”, Eugenia Maria Roccella si distingue per le sue personali battaglie. Difende senza indugi la circolare del ministro Piantedosi che vieta ai sindaci le trascrizioni anagrafiche degli atti di nascita dei figli di coppie omosessuali nati all’estero e rifiuta il confronto sul tema, richiesto da alcuni sindaci. Le sue posizioni integraliste sul fine vita, sull’aborto e in difesa ad oltranza dei “medici obiettori di coscienza”, sull’omofobia, sui diritti della comunità LGBT, sull’adozione di bambini da parte di coppie omoaffettive. sono chiare e mai nascoste e hanno fatto di lei un simbolo di quella politica che si ritiene in diritto di decidere tutto per le donne e sulle donne. 

Torniamo, allora, a Torino e al Salone Internazionale del Libro. La contestazione a Eugenia Maria Roccella ha la sua genesi nella storia politica della ministra-scrittrice e nella fase particolare che questo Paese sta attraversando: una fase dove si tenta, e spesso si riesce, a mettere il bavaglio ad ogni forma di dissenso e dove si prova a riportare indietro l’orologio della storia, mettendo in discussione tutto quello che è stato il risultato di anni di battaglie civili e sociali. Emblematici, in questo senso, gli attacchi alla legge 194 da parte delle associazioni pro-vita e del governo di Giorgia Meloni. A fronte di questo contesto, che ha tutti gli aspetti di una crociata contro la libertà delle donne, ecco allora che la contestazione alla ministra-scrittrice da parte di “Extinction Rebellion” e di “Non una di meno” appare più che legittima, tanto più che non ha avuto nessun carattere violento: le contestatrici si sono sdraiate sul pavimento e poi sono salite sul palco per leggere il loro comunicato.

Una ragazza giovanissima, in particolare, ha letto un passo con cui è difficile, se non impossibile, trovarsi in disaccordo: “Mentre in Emilia-Romagna si contano ancora i morti e i dispersi, i ministri del governo italiano, da giorni, presiedono gli spazi di uno degli eventi culturali più importanti d’Italia. Oggi era il turno di Roccella, ministra che ha più volte dichiarato che ‘purtroppo l’aborto è un diritto delle donne’. E questo accade qui, nella regione in cui un medico su due si rivela obiettore di coscienza”. È a quel punto che Eugenia Maria Roccella ha abbandonato il palco, affermando: “Per democrazia, a voi sconosciuta, lascio il palco”. Violente le reazioni successive: Giorgia Meloni ha parlato di “fatti inaccettabili e fuori da ogni logica democratica”, mentre il presidente del Senato ha sostenuto che “ci troviamo di fronte all’ennesimo atto antidemocratico”. Qualcuno ha parlato di “squadrismo” e di “inaccettabile e gravissimo atto di intolleranza”. Qualcun altro ha parlato di “fascismo degli antifascisti”. Infine, l’attacco violento di Augusta Montaruli, deputata alla Camera di Fratelli d’Italia, a Nicola Lagioia, accusato di aver fiancheggiato la contestazione mentre invece, nella circostanza, era in realtà intervenuto per provare una mediazione.

Nella conferenza stampa di chiusura del Salone, Nicola Lagioia ha affermato: “Ci sono state polemiche, non è la prima volta e ce le saremmo risparmiate… per me è tutto alle spalle”. Questo è stato il suo ultimo evento come direttore, il suo posto verrà preso da Annalena Benini, che ha elogiato l’apparato organizzativo del Salone del Libro e ha ribadito di non aver paura di questa sfida. Cosa resta di quel giorno a Torino? Restano alcune consapevolezze: la prima è che quella protesta è stata un grido di rabbia verso chi nella sua vita politica ha provato a spegnere e soffocare il diritto all’autodeterminazione delle donne. Come anche altre volte in passato, questa protesta salda e unisce generazioni e classi sociali, offre una voce a chi ha solo un’occasione per rivendicare il diritto di parola contrariamente a chi, come la ministra, ha tutte le possibilità mediatiche e politiche. La seconda è che, in ogni epoca e in ogni angolo del mondo, il libero pensiero e il dissenso verso qualunque forma di prevaricazione, saranno sempre un patrimonio prezioso per ogni generazione.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org