Questi sono stati i giorni di un triste anniversario: quello del truce omicidio di Giammatteo Sole, vittima innocente ed inconsapevole della mafia. Giammatteo era un giovane geometra palermitano di appena 23 anni, la sua vita scorreva come quella di molti coetanei, tra lavoro e uscite in comitiva. Proprio la “comitiva”, quel piccolo pezzo di mondo che per molti giovani è spesso una seconda famiglia, un luogo di incontro e condivisione, un canale di sfogo e un punto di forza nei momenti difficili, ha condotto Giammatteo alla morte. Nel gruppo che Giammatteo Sole ed i fratelli frequentavano, infatti, c’era anche un ragazzo che presto divenne fidanzato della sorella di Giammatteo: Marcello. Un ragazzo con un cognome impegnativo: Grado. Un cognome che, all’insaputa della fidanzata e di tutti gli altri amici, portava con sé una pesante eredità. Il padre di Marcello era infatti il boss Gaetano Grado, divenuto collaboratore di giustizia dopo l’arresto nel 1989.
Il 1995, quando si consuma questa tragica e assurda vicenda, era un anno un po’ particolare per gli assetti interni di cosa nostra, il potere era fortemente conteso tra mafiosi palermitani e mafiosi corleonesi e circolava la voce di un piano per rapire uno dei figli di Totò Riina. Tra le famiglie sospettate di ordire questo piano c’era appunto la famiglia Grado. La reazione dei corleonesi non si fece attendere: il 2 marzo 1995, Marcello fu ucciso con un agguato in un mercatino rionale di piazza Palmerino. Solo 20 giorni dopo, la sera del 22 marzo, mentre rientrava a casa da lavoro, Giammatteo Sole fu fermato da quella che, apparentemente, sembrava una pattuglia della “polizia”. In realtà si trattava dei due boss Gaspare Spatuzza e Leoluca Bagarella, che intendevano rapirlo per ottenere informazioni sul piano ai danni del figlio di Riina.
A fare luce su quanto accaduto quella sera sono state le rivelazioni dello stesso Spatuzza. Secondo le sue dichiarazioni e le ricostruzioni degli inquirenti, Giammatteo venne portato alla periferia di Villagrazia di Carini su una Croma rubata, torturato e poi bruciato vivo. “Questo ragazzo – ha dichiarato Spatuzza- non c’entrava niente, niente di niente, un’animella, un ragazzino veramente pane e acqua”. “Quando ha capito che non eravamo poliziotti – ha raccontato il collaboratore di giustizia – ci sembrava uno scherzo, qualche cosa di ridere e rideva e io dicevo ma è stupido questo?”. “Quello -ha concluso il pentito- veramente ci pareva che stavamo scherzando, una cosa del genere, perché è una persona fuori da ogni cosa”.
Una vittima non solo innocente ma anche inconsapevole: probabilmente, fino a pochi minuti prima di perdere la vita così atrocemente Giammatteo non ha percepito la gravità della situazione e anzi rideva divertito pensando ad uno scherzo. Un bravo ragazzo che non conosceva certe dinamiche né tantomeno sapeva di essere finito involontariamente dentro una guerra mafiosa. Nel 2000 gli è stato riconosciuto dal ministero dell’Interno lo status di vittima innocente di mafia, un piccolo gesto che non basta però a spegnere il dolore dei suo familiari ma che, quantomeno, permette di dare dignità alla memoria di un giovane ucciso barbaramente senza alcuna ragione. Uno dei tanti, purtroppo.
Anna Serrapelle -ilmegafono.org
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