“Nuovi elementi emersi circa la morte di Attilio Manca” è il titolo di una relazione pubblicata e resa nota dalla Commissione parlamentare antimafia e approvata alla fine della scorsa legislatura. Si tratta di ben 136 pagine incentrate sul caso del medico urologo dell’ospedale di Belcolle, in provincia di Viterbo, originario di Barcellona Pozzo di Gotto (ME), trovato morto nel 2004 nella sua casa di Viterbo, all’età di 34 anni, perché avrebbe negato le cure al boss mafioso Bernardo Provenzano, durante la sua latitanza. Della vicenda ci siamo occupati diverse volte; se ne è occupata Anna Serrapelle (leggi qui uno degli ultimi articoli), anche sentendo telefonicamente Angela, la madre di Attilio, che si batte ogni giorno della sua vita per dare giustizia a suo figlio, curandone la memoria, urlando a chiunque che “la verità è sotto gli occhi di tutti”.
Nel polso sinistro di Attilio Manca furono trovati due fori, mentre sul pavimento fu individuata una siringa. Presenza nel sangue di eroina, alcol etilico e barbiturici. Così sentenziò l’autopsia quando fu ritrovato il corpo senza vita del giovanissimo medico, alle ore 11.00 del 12 febbraio 2004. Il caso fu ritenuto inizialmente un’overdose da eroina, poi archiviato come suicidio. I genitori si opposero subito all’archiviazione, sostenendo che il figlio fosse stato assassinato e che si trattava di un omicidio di mafia. Oltretutto Attilio era mancino e le siringhe non riportavano alcuna impronta digitale dello stesso. Di certo, un uomo che intende suicidarsi, non ha l’accortezza di indossare guanti e ripulire quanto utilizzato. Inoltre, secondo la madre e la famiglia, se fosse stato lui a uccidersi, appunto perché mancino, non si sarebbe iniettato la droga nel polso sinistro ma in quello destro. I familiari da sempre hanno portato avanti la tesi secondo cui sarebbe stato ucciso per coprire un intervento subito da Bernardo Provenzano a Marsiglia, in Francia.
Nel gennaio del 2005 furono pubblicate le intercettazioni di Francesco Pastoia, boss di Belmonte Mezzagno (PA) e fedelissimo di Provenzano, che parlava del viaggio di “u zu Binnu” a Marsiglia nell’anno 2003. Il 28 gennaio 2005, Pastoia fu trovato impiccato nella sua cella. Secondo ulteriori inchieste della magistratura, Provenzano sarebbe stato operato alla prostata, nella clinica “de La Ciotat” da un’équipe composta da Philippe Barnaud e dagli specialisti Breton e Bonin. Durante questo viaggio, secondo la ricostruzione dei genitori di Manca, l’urologo sarebbe entrato in contatto con il capomafia. All’inizio del mese di novembre del 2003, infatti, il medico sembra si sia recato a Marsiglia. Secondo la ricostruzione dei genitori, Manca sarebbe stato contattato da mafiosi di Barcellona Pozzo di Gotto per unirsi all’équipe di Barnaud durante l’intervento a Provenzano.
La citata relazione finale della Commissione antimafia, del 2022, a conclusione dei suoi lavori e a supporto della tesi portata avanti da anni dai genitori, sostiene che “la morte di Attilio Manca è legata a probabili contatti avuti con Bernardo Provenzano”. Secondo i membri della Commissione, “nonostante i media abbiano rilanciato, come ipotetico momento di contatto tra Attilio Manca e Bernardo Provenzano, l’operazione chirurgica avvenuta in Francia, le ipotesi non si esauriscono certamente con l’intervento di prostatectomia. Il medico avrebbe potuto, su richiesta della famiglia mafiosa barcellonese, provvedere all’individuazione del chirurgo francese (avendo egli studiato e lavorato in Francia per diverso tempo). Potrebbe essere stato il medico scelto inizialmente dal latitante per eseguire l’intervento e ciò giustificherebbe il rientro di Provenzano in Italia a seguito della biopsia”.
“Potrebbe essere stato il medico – si legge nella relazione – a cui si rivolsero esponenti e referenti dell’articolazione barcellonese di cosa nostra per effettuare la visita di controllo a tre mesi dall’intervento. Potrebbe essere stato, infine, il medico che, nella situazione d’urgenza in cui venne a trovarsi il boss mafioso, descritta dal collaborante Stefano Lo Verso, ebbe a prestargli le cure d’emergenza”. Le conclusioni della relazione sono le seguenti: “L’ attività svolta da questa Commissione ha consentito di approfondire la vicenda concernente la morte del medico Attilio Manca e di ricostruirla attraverso l’analisi e l’individuazione di ulteriori elementi tra i quali assumono particolare rilievo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Si tratta di dichiarazioni rese da soggetti che sono stati ritenuti credibili da parte delle diverse autorità giudiziarie che se ne sono occupati e che non risulta che siano stati mai neppure indagati per i reati di calunnia e di false dichiarazioni al P.M. Proprio quanto riferito dai collaboratori costituisce il dato di maggior rilievo che sostiene l’ipotesi che Attilio Manca non sia stato vittima di un atto autolesivo, ma di un omicidio”.
Molti gli elementi raccolti per arrivare a questa conclusione: il sangue ritrovato sulla scena del delitto, i segni delle punture di eroina rilevati nel braccio sinistro, incompatibili col fatto che Manca fosse mancino e che aveva una scarsa abilità con la mano destra, le siringhe trovate chiuse con il tappo di protezione, l’assenza, da parte del giovanissimo medico, di idee suicidarie, la sua voglia di continuare con successo la carriera medica (sul sito www.attiliomanca.it è visibile il suo curriculum vitae), l’assenza di tutto il materiale che serve a chi si inietta l’eroina, l’assenza di pantaloni e di biancheria intima nel corpo della vittima, nonostante fosse inverno, l’assenza di sue impronte digitali nelle siringhe e la convinzione assoluta da parte di chi lo conosceva (familiari, amici, colleghi e conoscenti tutti) che non facesse uso di droghe. Il 5 febbraio 2014, il sito del programma televisivo Servizio Pubblico mostrava le immagini del corpo senza vita del dottor Manca, da cui risultavano alcuni segni di una possibile colluttazione.
Nel 2015 il pentito Carmelo D’Amico, mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto, rivelava che poco dopo la morte di Manca aveva parlato con Salvatore Rugolo, mandante dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano, che era infuriato con Rosario Cattafi, capo della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, perché riteneva quest’ultimo responsabile dell’omicidio di Manca. Sembrerebbe che la mafia barcellonese avesse chiesto al giovanissimo Manca di operare Provenzano in seguito alle sollecitazioni di un soggetto non precisato, appartenente all’arma dei Carabinieri o ai Servizi segreti. Nel giugno dell’anno scorso è stata resa nota una intercettazione risalente all’autunno del 2003 nella quale alcuni sostenitori di “u zu Binnu” parlano della necessità di punire un dottore (“far fare la doccia al dottore”) per aver rigettato la richiesta di operare Provenzano.
A questo punto della situazione e alla luce delle conclusioni della Commissione parlamentare antimafia è obbligatorio oltre che necessario far luce sulla vicenda, sui mandanti, sugli esecutori e sui taciti consensi o colpevoli tolleranze di chi ha potuto offrire aiuti e silenzi per arrivare a questo vergognoso e brutale assassinio. La mafia non è nuova ad usare le siringhe per eliminare persone “scomode”. Il giovanissimo pastore Giuseppe Letizia assistette all’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto e vide in faccia gli assassini. Per questo venne ucciso con un’iniezione letale, fattagli dal boss e medico Michele Navarra (il mandante del delitto Rizzotto). È per tutto questo che ci si aspetta giustizia. Giustizia per Attilio Manca, per la sua giovane vita spezzata in modo volgare e vergognoso, giustizia per i genitori, giustizia per tutti quelli che chiedono verità. Un filosofo indiano afferma che “il male si diffonde col vento. La Verità è capace di viaggiare controvento”. Insieme a mamma Angela non ci arrenderemo.
Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org
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