La Manovra sterza tutto a destra e i cittadini ne pagano, letteralmente, le conseguenze. Mentre infiammano le polemiche per l’abolizione (o ridimensionamento) del Reddito di cittadinanza, i neoparlamentari eletti il 25 settembre potranno beneficiare di un lauto bonus da 5500 euro. La cifra servirà ad acquistare tablet, AirPods, pc e altri dispositivi utili nell’esercizio delle loro funzioni, per il bene del Paese. Il “bonus di Natale” è stato approvato dai questori di Fratelli d’Italia, Lega e Movimento 5 Stelle ed è pari al doppio del “sussidio” (prendiamo il termine con le pinze) elargito ai parlamentari della scorsa legislatura: sotto la presidenza alla Camera di Roberto Fico, il bonus era di 2500 euro, con tutta una serie di limitazioni e trattenute per chi non si recasse effettivamente in aula. Il bonus Natale è uno schiaffo a tutti i contribuenti se pensiamo che questi soldi provengono dalle tasse che versiamo. E soprattutto se pensiamo che la notizia è arrivata all’indomani della Manovra, la cui vittima sacrificale, come dicevamo, è il Reddito di cittadinanza.

Non è certo la prima volta che i parlamentari possono beneficiare di bonus e benefit, misure trasversali che, ahinoi, non conoscono colore politico. È assurdo pensare però che un governo che ha fatto del pauperismo uno dei suoi vessilli in campagna elettorale, si comporti oggi da élite economica, lasciando indietro chi i privilegi non può ottenerli. In un momento storico del genere, con i cittadini allo stremo, la crisi energetica, il caro bollette e chi più ne ha più ne metta, la mossa più irrispettosa da fare è proprio questa, togliere agli ultimi, puntandovi contro il dito, e mettere altri comodi cuscini sulle poltrone di chi, nella gran parte dei casi, è stato semplicemente più fortunato. E a essere onesti, lo stipendio da parlamentare basta e avanza per acquistare dispositivi che molti, analfabeti funzionali e non, a stento useranno per i selfie di continua propaganda. Il numero dei parlamentari si è dimezzato, i loro benefici invece raddoppiano.

Parlando di denaro, un’altra delle entusiasmanti performance del governo e della sua Manovra riguarda i pagamenti con il pos. All’esecutivo piacciono i contanti, il denaro del popolo, non come le transazioni elettroniche tracciabili, roba da radical chic ed élite, roba che piaceva al governo Draghi che ha imposto l’obbligo di ricevere pagamenti con pos a tutti i commercianti. La litania era sempre la stessa, lamentele su lamentele per i costi delle transazioni, scuse improbabili per non consentire di pagare con carta: dalla scarsa connessione al poi classico “il pos è rotto”. Ma a spazzare via tutto ci pensa il governo Meloni: la soglia dei pagamenti col pos è stata dapprima innalzata a 60 euro, poi la premier ha fatto un passo indietro, affermando che si può discutere sulla riduzione. “Colpa” (o merito?) delle pressioni dell’Unione Europea, dato che il tema delle transazioni elettroniche è contenuto nel PNRR. Nel frattempo gongola una buona parte di furbetti, che inneggiano alla fine della pacchia per i ricchi. E l’inizio di quella degli evasori, verrebbe da dire.

Il pagamento in contanti offre una bella spinta all’enorme settore sommerso della nostra economia, è il toccasana degli evasori, la soluzione di molti disonesti. E per un Salvini che tuona “chi vuole pagare 2 euro con carta è solo un rompipalle”, ci sono tanti altri italiani che ricevono un altro scappellotto da parte degli zii boomer, perché questo ormai sembrano molti membri del governo. Poche spiegazioni reali, molti passi indietro e un orologio che continua a scorrere a ritroso.

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