“Mi piaceva pensare che i problemi dell’umanità potessero essere risolti un giorno da una congiura di poeti: un piccolo gruppo si prepara a prendere le sorti del mondo perché solo dei poeti ormai, solo della gente che lascia il cuore volare, che lascia libera la propria fantasia senza la pesantezza del quotidiano, è capace di pensare diversamente. Ed è questo di cui avremmo bisogno oggi: pensare diversamente” (Tiziano Terzani).
Pensare diversamente. Sì, è quello che oggi manca e di cui non riusciamo ad essere capaci. E chi ci prova ogni giorno diventa un bersaglio facile su cui puntare il dito: sognatore, idealista, adolescente. Eppure, a pensarci bene, queste accuse diventano quasi un riconoscimento. Se nella vita delle persone esiste davvero un momento straordinario, e forse irripetibile, è proprio quella stagione in cui i sogni e gli ideali sembrano invincibili. È la stagione dove l’incontro diventa il punto di arrivo di una ricerca e il punto di partenza di una rincorsa alla vita. Allora perché doversene vergognare? Prendiamo in mano un libro di storia, sfogliamo le sue pagine e chiediamoci quali sono i nomi delle persone che hanno lasciato un segno nella mente e nel cuore. Facciamo un gioco: prendiamo un foglio e dividiamolo in due, come quando si facevano i temi sui fogli protocollo negli anni della scuola, e scriviamo da una parte il nome di quei sognatori idealisti che hanno lasciato quel segno e hanno provato a cambiare il mondo.
Rendiamo il gioco più facile: consideriamo solo gli anni del ‘900 e scriviamo qualche nome: Gramsci, Mandela e Steve Biko, Gandhi, Martin Luther King e Rosa Louise Parks, Salvador Allende, Don Andrea Gallo e Gino Strada, Falcone e Borsellino. La penna continua a scrivere e il foglio si riempie di altri nomi: Neruda, Marquez, Saramago, Frida Kahlo, Rodari e Calvino, Pasolini e Tiziano Terzani, Peppino Impastato e Vittorio Arrigoni. Sono solo alcuni nomi, i primi che vengono in mente, ma l’elenco potrebbe continuare all’infinito con il nome dei tanti che la storia non conosce ma che la storia l’hanno scritta, costruendo sulle macerie e rialzandosi dopo ogni caduta, inseguendo ogni giorno il sogno di un domani diverso. Molti lo hanno fatto con una valigia di cartone in mano, lasciandosi alle spalle la propria terra, ma non le radici della dignità. Sognavano lo stesso sogno di chi oggi insegue la vita e la sfida in ogni modo, anche su un barcone in mezzo alle onde del mare.
Idealisti, sognatori, eppure, loro il mondo hanno provato a cambiarlo e ognuno di loro ha pagato un prezzo, anche con la vita stessa. Pazzi sognatori anche loro? Oppure donne e uomini che hanno scelto la vita nella sua interezza e nella sua intima e vera natura? Oggi, anno 2022 d.C., il mondo ha scelto di sedersi su un abisso e aspetta di vedere cosa succederà domani. Perché, allora, ostinarsi a credere che Don Chisciotte possa vincere la sua battaglia contro i giganti? Davvero quei giganti sono solo dei mulini a vento o non sono, piuttosto, quel pezzo di umanità che si è persa inseguendo il mito della razza e della supremazia, del profitto e dello sfruttamento degli ultimi? Chi è davvero il pazzo: Don Chisciotte o quel pezzo di umanità che ha perso la voglia di lottare, di credere, di sognare che un mondo diverso sia possibile?
Alla fine del ‘900 erano in molti a credere che un muro crollato avrebbe cambiato la storia, ma quel muro esiste ancora, anche se non è più a Berlino: è nella testa di gran parte del genere umano, circola nel suo sangue e avvelena l’acqua del pozzo in cui tutti abbiamo il diritto di bere. È possibile pensare diversamente, è necessario in ogni angolo del mondo e in ogni angolo di strada, perché in ogni angolo di strada c’è un’ingiustizia che si compie nell’indifferenza dei tanti, dei troppi. Qual è il confine fra l’accettazione delle cose e la ribellione? Qual è il limite della rassegnazione? La linea di demarcazione di quel confine è davanti a tutti noi e occorre oltrepassarla, passandoci sopra con la sfrontatezza e la consapevolezza di chi “lascia il cuore volare, che lascia libera la propria fantasia senza la pesantezza del quotidiano”. Solo così è possibile credere che possa esserci ancora un futuro capace di andare oltre le oscenità che questo mondo ci sputa in faccia, solo così è possibile pensare di ripulire il pozzo che altri hanno avvelenato per tutti noi.
Il prezzo da pagare è alto, ma i giganti e i mulini a vento possono cadere solo così. Quei giganti sono ovunque, anche nel nostro Paese: un Paese che ha perso la memoria, al punto che la domanda è se abbia mai avuto una memoria. Siamo un Paese che ha più italiani in giro per il mondo che italiani in patria, siamo da sempre un Paese di migranti ma abbiamo dichiarato guerra ai migranti. O meglio, lo Stato ha dichiarato guerra ai migranti, perché poi è grande quel pezzo di umanità che non si riconosce in questa guerra, ma lo Stato è più forte, è dominante. E allora pensare diversamente significa credere di essere più forti anche di uno Stato sbagliato. Siamo un Paese dove si muore nelle carceri perché si cade dalle scale, eppure una giovane donna si batte per dieci anni per ottenere la verità sulla morte di un fratello ucciso dallo Stato e non dalle scale. Quella donna si chiama Ilaria, ha vinto quella battaglia contro tutti i poteri dello Stato. Ma è solo una battaglia vinta fra le tante che ancora aspettano una verità che la storia conosce, ma che lo Stato non concede.
E, oggi, quello Stato fa un ulteriore passo indietro nella sua storia, ed è un passo indietro che riporta alla mente la notte di un ventennio che ha fatto tanto male a questo Paese. Perché dunque credere ancora che un mondo diverso sia possibile, perché non arrendersi? Perché su quel foglio di protocollo diviso a metà quei nomi ci insegnano che si deve pensare diversamente, anche quando sembra impossibile. In tanti angoli del mondo le uniche fabbriche che non chiudono e non licenziano sono quelle fabbriche, vergognosamente chiamate eccellenze, che lucidano i loro fatturati producendo e vendendo armi. Le armi servono alle guerre, e il mondo è malato di guerre. Perché non chiudere quelle fabbriche? Perché si dice che chiuderle significa creare disoccupazione. Si accetta quindi l’idea che l’economia e la finanza vincano sull’etica e sull’umanità, che vincano sempre e su tutto. Anche per questo il mondo è seduto sull’abisso e aspetta di vedere cosa succederà domani.
Proviamo a sfidarlo quel domani, chiudiamole quelle fabbriche e proviamo a pensare che possano produrre altro. È possibile non arrendersi all’economia, perché l’alternativa è chiudere la porta in faccia alla vita. Poeti e sognatori, strane creature. Mettono le persone davanti a uno specchio e le costringono a pensare, a scegliere. Danno fastidio a molti e solo dopo, quando se ne vanno, a loro si dedicano piazze e scuole, monumenti. Ernesto Guevara de la Serna, il “Che”, insegnava a leggere e scrivere a chi non lo sapeva fare, perché “un popolo che non sa né leggere né scrivere, è un popolo facile da ingannare. L’ignoranza è una catena da spezzare al pari di ogni dittatura”. Ernesto Guevara era un Uomo libero, era anche un poeta. Diventare un rivoluzionario è stata la naturale conseguenza di un percorso umano straordinario.
Vittorio Arrigoni, Vik, diceva che “continueremo a fare delle nostre vite poesie, fino a quando libertà non verrà declamata sopra le catene spezzate di tutti i popoli oppressi. Io che non credo alla guerra, non voglio essere seppellito sotto nessuna bandiera. Semmai vorrei essere ricordato per i miei sogni. Dovessi un giorno morire – fra cent’anni – vorrei che sulla mia lapide fosse scritto quello che diceva Nelson Mandela: ‘Un vincitore è un sognatore che non ha mai smesso di sognare’”.
Ecco, il segreto di volere e sapere pensare diversamente è tutto qui. Spesso si racconta che gli occhi di sognatori e poeti sono velati di tristezza, di malinconia. Può essere, o forse no, forse è solo consapevolezza, quella di chi ama la vita a tal punto da volerla sfidare sempre, anche quando sembra una battaglia già persa in partenza. Perché bisogna amarla davvero la vita per continuare a sognare che un mondo diverso è sempre possibile. Questo mondo, seduto sull’abisso, non ha più molto tempo davanti a sé. È costretto a scegliere, decidere finalmente se lasciar volare il cuore e imparare a pensare diversamente, oppure continuare ad essere complice silenzioso e indifferente di un destino scritto da altri. Italo Calvino scriveva che “la poesia è l’arte di far entrare il mare in un bicchiere”. Aspetto il giorno in cui una congiura di poeti possa alzare quel bicchiere, mi piace immaginare che quel giorno arriverà, forte e leggero come quel bicchiere alzato per brindare a un pensiero diverso.
Maurizio Anelli -ilmegafono.org
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