Un’estate calda, lunga e difficile, una sorta di preparazione ad un autunno che racconterà molte cose di questo Paese, della sua volontà di guardarsi allo specchio e capire davvero fino a che punto sia capace di cercare e volere la verità sulle troppe pagine oscure della sua storia. C’è una pagina, per esempio, che per mesi interi è stata buttata in faccia e in pasto agli italiani con violenza ma di cui, oggi, non si parla più: silenzio mediatico e politico, indifferenza. È la pagina del libro di Riace e di un uomo, Domenico Lucano, che di Riace è stato sindaco e simbolo. Quel libro, e quella pagina, raccontano di come sia facile e possibile scatenare una tempesta capace di affondare un’idea di vita diversa dal modello a cui ci si deve inchinare. Creare e scatenare quella tempesta, preparare le condizioni perché diventasse una tempesta perfetta, è stato un lavoro di squadra dove molti giocatori hanno avuto un ruolo fondamentale: un lavoro partito da lontano e un movente politico che è stato davvero difficile non riuscire a vedere. Eppure, così è stato.
Per la prima volta nella storia giudiziaria di questo Paese un processo si è concluso con una condanna raddoppiata rispetto alle richieste della pubblica accusa e in molti hanno esultato davanti a quella sentenza. La tempesta perfetta aveva raggiunto il suo scopo. Ma c’è sempre un “ma” nella vita di ogni giorno, e in un caso giudiziario i “ma” possono essere importanti, anche quelli che sembrano quasi insignificanti. Al processo d’Appello su Domenico Lucano, la Corte di Reggio Calabria ha disposto la riapertura dell’istruttoria, chiedendo di acquisire ulteriori elementi e, in particolare, un’intercettazione ambientale che nel processo di primo grado mancava. Perché questa intercettazione non era mai stata depositata agli atti e cosa conteneva di così importante per dover essere nascosta con tanta attenzione?
È un’intercettazione del 20 luglio 2017 nella quale un funzionario della prefettura, al termine di una delle tante ispezioni a Riace, si lascia andare ad un’affermazione strana, difficile o forse troppo semplice da inquadrare: “L’amministrazione dello Stato non vuole il racconto della realtà di Riace…Non è improbabile che un domani, così come (incomprensibile) se non è già arrivata da voi, verranno la Guardia di Finanza…”. Il funzionario in questione sarà poi uno dei testimoni della procura contro Lucano nel processo di Locri. Eppure, del processo d’Appello e delle anomalie del processo di primo grado non si parla in questo Paese. È lo stesso Paese che solo alcuni mesi fa vedeva la messa in stato d’accusa di Mimmo Lucano nei telegiornali e sulla stampa, giorni dove politici e liberi pensatori si mettevano in fila per raccontare le irregolarità e gli abusi amministrativi del sindaco di Riace, il suo “violare la legge” era diventato un mantra per tutti coloro che puntavano il dito contro il “Modello Riace”.
Era quel modello a dare fastidio e a fare paura e quel sindaco, capace di restituire dignità a Riace trasformando un borgo abbandonato in un modello d’integrazione, faceva ancora più paura. Nessun potere può accettare chi insegna il valore dell’accoglienza e della disobbedienza civile, sfidando regole e leggi sbagliate. Serve coraggio per fare il sindaco quando lo Stato diventa un nemico. Il processo d’Appello riprenderà in ottobre, e l’attesa per la sentenza di secondo grado sarà lunga. Domenico Lucano attende, non chiede una riduzione di pena ma una piena assoluzione e questa attesa è condivisa con i tanti cittadini che in questi mesi, in questi anni, sono sempre stati dalla sua parte.
Ma quali saranno le condizioni politiche intorno a questo processo ad ottobre? Ipotizzare che le condizioni possano essere le peggiori possibili per un processo capace di dare un senso alle aspettative di Mimmo Lucano sembra quasi troppo facile. Troppi protagonisti di quella “tempesta perfetta” scatenata su Mimmo Lucano tornano ad alzare la voce, convinti di avere un ruolo di assoluto primo piano nella nuova legislatura che andrà a sedersi in Parlamento dopo le prossime elezioni politiche. Facile immaginare la loro voglia di affondare il colpo definitivo e di liberarsi, una volta per tutte, dell’uomo che aveva osato sfidare quel muro di ostilità costruito con arroganza e razzismo.
Difficile immaginare che quel muro possa ammorbidirsi ad ottobre, è lo stesso ex-ministro degli Interni di quei giorni – Matteo Salvini – a stilare già adesso il programma dei primi cento giorni del nuovo governo. Perché, il punto è proprio questo: la convinzione della destra di vincere sicuramente le prossime elezioni. Ed è una convinzione che ha concrete possibilità di successo e viene aiutata e incoraggiata ogni giorno dai sondaggi televisivi. Nel solco di questa convinzione è già stata promessa una stretta ulteriore sui decreti sicurezza e sull’immigrazione. Questi sono i punti su cui è stato costruito il teorema contro Mimmo Lucano e nessun governo li ha mai messi in discussione: la legge Bossi-Fini resta una legge dello Stato, i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) degli immigrati considerati clandestini continuano ad essere il “buco nero” in cui isolare detenuti senza nessun reato. A tutto questo si aggiungono gli accordi con i Paesi che i governi italiani, di oggi e di ieri, considerano amici e alleati in nome di equilibri geopolitici, economici e militari.
In questo quadro politico, con quale governo oggi non è dato saperlo, ottobre riaprirà le porte di un tribunale per Domenico “Mimmo” Lucano. E quel giorno, la figura di un burocrate della Prefettura, un funzionario che nel primo processo era un testimone per l’accusa, potrebbe diventare una carta che si ritorce contro la “tempesta perfetta” e contro i suoi mandanti. Questo Paese aspetta da troppo tempo che la legge e la giustizia si siedano sullo stesso piatto della bilancia, e nel caso di Mimmo Lucano la sensazione che il processo sia solo politico – e che i fatti e il contesto siano scomparsi per lasciare spazio al processo all’idea – è diventata certezza al punto che davvero dovrebbe essere istituito il reato di solidarietà.
Sì, sarà un’estate calda, lunga e difficile. Poi arriverà un autunno che ci racconterà davvero chi siamo, quanta voglia abbiamo ancora di guardarci allo specchio e negli occhi, quante energie vogliamo spendere per provare a cambiare un Paese che sembra sempre più inginocchiato su se stesso, a metà strada fra la rassegnazione e l’indifferenza. Ci si può sempre rialzare, anche da inginocchiati. Riace c’è riuscita qualche anno fa, riprendendosi la vita e aprendo le porte del suo borgo. Adesso tocca al Paese rialzarsi sulle gambe, a testa alta. Tocca a tutti noi, facendo nostra quella lezione di disobbedienza civile e di coraggio che Mimmo Lucano ha insegnato senza chiedere niente in cambio, solo dignità.
Maurizio Anelli -ilmegafono.org
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