Da macellaio del popolo curdo a mediatore di pace nella guerra fra Russia e Ucraina. Da tiranno di un Paese dove il dissenso e il libero pensiero aprono tutte le porte delle galere, dove gli artisti e i musicisti sono perseguitati, incarcerati e lasciati morire dal governo turco con l’accusa di terrorismo, a uomo politico cui l’Occidente, che non ha saputo e voluto fermare una guerra, affida il ruolo di diplomatico. Recep Tayyip Erdoğan, mille maschere e mille volti: uno, nessuno, centomila. È una pagina di storia paradossale, specchio dell’ipocrisia dei potenti. Lui, il presidente della Turchia, si muove su un terreno le cui radici affondano nei rapporti privilegiati che il regime di Ankara ha costruito nel tempo con entrambi i Paesi in guerra, per consolidare ambizioni egemoniche mai nascoste.
Impossibile non soffermarsi sui troppi aspetti ambigui di cui la Turchia è protagonista in questo scenario: il regime di Ankara non ha mai riconosciuto politicamente l’annessione della Crimea da parte della Russia e, subito dopo l’inizio della guerra con l’Ucraina, ha condannato l’atto di aggressione votando a favore della Risoluzione ONU di condanna della Russia ma, pur essendo parte della Nato, non ha mai aderito alle sanzioni decise dalla Nato stessa e dalla Comunità Europea. Ha elargito aiuti militari all’Ucraina – con la fornitura dei droni da bombardamento – ma ha continuato ad acquistare armi dalla Russia, per esempio l’intero sistema di difesa missilistico S-400. Entrano in gioco rapporti economici e militari che la Turchia da sempre ha stretto sia con l’Ucraina che con la Russia e che spiegano ampiamente la natura di queste ambiguità.
La Turchia importa dalla Russia quasi il 50% del gas e anche questo è un fattore importante, almeno quanto la prima grande centrale nucleare che la società russa Rosatom sta costruendo ad Akkuyu, nella Turchia meridionale. Rosatom è un colosso del nucleare, attiva in tutte le sue componenti: estrazione, conversione e arricchimento dell’uranio, gestione e smaltimento delle scorie radioattive. E poi il grano, fornito in massima parte dalla Russia. Non va dimenticato, infine, che la Russia è il terzo partner commerciale della Turchia dopo Germania e Cina. Evidente, quindi, che una rottura dei rapporti con la Russia sarebbe un vero disastro per l’economia della Turchia. Con l’Ucraina, invece, è notevole e in deciso aumento anche l’esposizione economica: le stime ufficiali turche parlano di oltre cinque miliardi di dollari. Alla luce di questo scenario è chiaro che il protagonismo della Turchia nel trovare un accordo di pace, che entrambi i Paesi in guerra possano presentare come una “non sconfitta”, non è determinato da posizioni moralmente etiche ma da necessità economiche e geopolitiche.
Negli ultimi giorni lo scenario si è arricchito di nuovi elementi che gettano ulteriori ombre o, forse, chiariscono invece definitivamente le intenzioni di Erdoğan ma anche di una gran parte del mondo occidentale: nell’ultima settimana di giugno di quest’anno si è tenuto a Madrid il vertice della NATO, che ha sancito l’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza atlantica ed ha ridisegnato ulteriormente i propri confini. Il Presidente USA, Joe Biden, lo ha definito un “vertice storico”, precisando che “prima che la guerra iniziasse avevo avvertito Putin che l’alleanza sarebbe diventata più forte e più unita e questo è quello che è successo…il mondo è cambiato e la Nato è cambiata di conseguenza. Difenderemo ogni centimetro del territorio alleato, le cose cambiano e noi ci dobbiamo adattare”. Dalla caduta del muro di Berlino è l’ennesimo allargamento della NATO, nuovi ingressi che vanno ad accrescere il numero dei Paesi aderenti all’Alleanza e, per la prima volta, un socio del club chiede ufficialmente qualcosa in cambio del proprio voto favorevole: il socio in questione è sempre lui, Recep Tayyip Erdoğan.
In cambio del proprio voto favorevole all’ingresso di Svezia e Finlandia il “sultano” presenta la sua lista, il suo prezzo: un elenco di persone che aveva chiesto asilo politico nei due Paesi per fuggire dalla repressione turca. Sono curdi, che solo pochi anni fa gran parte del mondo vedeva come eroi: hanno pagato, con il proprio sangue, un prezzo altissimo in ogni campo di battaglia contro l’ISIS, a Mosul come a Kobane. Chi ricorda oggi la lotta delle donne di Kobane e la riconquista dei territori del Rojava, o Kurdistan siriano? No, per Erdoğan non sono eroi, sono curdi, che ricordavano la Svezia di un tempo: quella di Olof Palme. Ma quella Svezia, come Olof Palme, sono un ricordo lontano nel tempo.
Una semplice lista non bastava però ad accontentare il “sultano” di Ankara, c’è un prezzo aggiuntivo sul conto da pagare e lo spiega in modo chiaro Yilmaz Orkan, responsabile di UIKI-ONLUS, l’Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia: “L’abbandono del sostegno – in ogni sua forma – al popolo curdo e la fine dell’embargo sulle armi, imposto nel 2019 da Stoccolma e Helsinki, in risposta all’offensiva proprio contro i curdi in Siria del Nord. Svezia e Finlandia dovranno consegnare alla Turchia tutti i rifugiati politici curdi che Ankara richiederà e accettare i bombardamenti turchi nel Rojava, la regione autonoma nel nord e nord-est della Siria protagonista da anni di un esperimento unico in Medio Oriente, quello del confederalismo democratico. Tre pagine e dieci punti per cancellare la solidarietà che da decenni i governi e i popoli svedese e finlandese avevano garantito ai curdi”.
“Non abbiamo amici, solo le montagne”. Recita così una vecchia leggenda curda, e in quelle parole c’è tutta la storia di un popolo senza terra da sempre, una storia di delusioni, massacri e tradimenti. In questo contesto si inserisce un ulteriore elemento di riflessione e questo riguarda il nostro Paese, l’Italia. Dopo dieci anni dall’ultimo vertice di Roma, nel 2012, il capo di governo italiano, Mario Draghi, vola ad Ankara per rilanciare i rapporti bilaterali tra Italia e Turchia. E Mario Draghi sottolinea “la volontà comune di rafforzare la collaborazione: Italia e Turchia sono partner, amici alleati”. Erdoğan gli fa eco e, a sua volta, comunica che Italia e Turchia hanno firmato 9 accordi per “rafforzare la cooperazione”, precisando che l’obiettivo è arrivare ad un interscambio economico di 25 miliardi di dollari entro l’anno.
L’incontro fra Draghi ed Erdoğan si è consumato nel palazzo presidenziale dopo una visita d’onore all’AnÕtkabir, il mausoleo di Ataturk. Lo stesso Moustafà Kemal Ataturk che con il trattato internazionale di Losanna del 1923, con l’appoggio di tutte le grandi potenze occidentali, ottenne il riconoscimento della Repubblica di Turchia e la ridefinizione dei confini, senza nessun riconoscimento per il Kurdistan e per il suo popolo. Qualcuno ricorda quando, nell’aprile del 2021, Mario Draghi diceva che “Erdoğan è un dittatore di cui però si ha bisogno”? Il mondo, o almeno una parte enorme di questo mondo, conosce da tempo Erdogan e quel cinismo politico che in politica estera gli consente di giocare su tanti tavoli dove è lui a dare le carte. Nel mese di giugno del 2023 si svolgeranno le elezioni presidenziali in Turchia e lui ha estremo bisogno di un successo in politica estera, la guerra fra Russia e Ucraina può essere la sua carta vincente. Intanto, ha puntato forte sulle ruote di Stoccolma e Helsinki nel silenzio del mondo che conta ed è passato all’incasso.
Post scriptum: questo scritto non è contro un accordo di pace che il mondo civile aspetta da Russia e Ucraina. chi scrive desidera che quella guerra finisca insieme a tutte le troppe guerre che infettano questo mondo. Questo scritto vuole essere solo un atto d’accusa verso tutte quelle diplomazie e quelle classi politiche, e di governo, che non hanno fatto nulla per impedirla e della quale oggi hanno paura perché non riescono più a fermarla. Per questo chiedono aiuto ad un macellaio; ma un macellaio resta tale anche quando lo si fa sedere a capotavola nella sala degli specchi e allora torna, ancora e sempre, quella domanda alla quale in troppi non vogliono o non possono rispondere: a chi serviva prima e a chi serve ancora oggi questa guerra?
Maurizio Anelli -ilmegafono.org
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