La questione legata all’ergastolo ostativo e alle problematiche connesse a quello che è un argomento delicato e scottante è tornata fortemente alla ribalta nelle ultime settimane. Tra pochi giorni, infatti, il Parlamento dovrà legiferare sulla riforma della normativa attuale, riforma che prevede un alleggerimento delle pene previste per i detenuti al 41bis. Ma cos’è l’ergastolo ostativo? Di questa norma abbiamo già discusso ampiamente lo scorso anno (leggi qui), citando anche l’intervento da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che aveva ritenuto tale norma “in contrasto con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. E citando i successivi interventi della Corte Costituzionale. L’ergastolo ostativo è, per sua natura, una norma piuttosto dura, poiché vieta ai detenuti al 41bis che abbiano deciso di non collaborare con la giustizia di avvalersi, a differenza degli altri detenuti, di alcuni benefici penitenziari tra cui la libertà vigilata a partire dal 26esimo anno di reclusione.
Si parla ovviamente di condannati per crimini gravi quali i delitti di criminalità organizzata, terrorismo ed eversione e, quindi, di soggetti potenzialmente pericolosi per il Paese e la stabilità dello stesso. Il Parlamento ha avuto un anno di tempo per apportare modifiche congrue che riscuotessero il benestare da parte dell’Unione Europea e fossero in linea con i principi di tutela dei diritti dell’uomo che, in qualche modo, secondo la Corte Europea, risultano essere bistrattati.
Cosa prevede la riforma? La proposta di legge rivoluzionerebbe non poco l’attuale normativa. Innanzitutto darebbe la possibilità anche ai detenuti al 41bis di accedere a tutti i benefici penitenziari. Tra i benefici ci sono: permessi premio; lavoro all’esterno; semilibertà; affidamento in prova al servizio locale; liberazione condizionale. Una proposta che andrebbe a mischiare le carte in tavola nel sistema penitenziario italiano, oltre ad aumentare il rischio di poter avvantaggiare numerosi boss di mafia. Secondo Pietro Grasso, senatore di Liberi e Uguali ed ex magistrato antimafia, la proposta, così come è stata presentata, evidenzia delle incongruenze e delle contraddizioni che rischiano di peggiorare la situazione attuale. Inoltre, secondo lo stesso Grasso, all’interno dell’articolo 4-bis (l’articolo che regola proprio l’ergastolo ostativo) andrebbero distinte due categorie di detenuti. Infatti, tra chi ha scelto di non collaborare bisognerebbe distinguere chi è “silente per sua scelta” e chi “lo è suo malgrado”.
Ed è proprio a questa seconda categoria che, secondo Grasso, la riforma dovrebbe andare incontro. “Sarà compito, quindi, della magistratura – afferma l’ex magistrato – tenere conto delle ragioni della mancata collaborazione al fine di verificare l’assenza di collegamenti attuali con il mondo criminale di appartenenza e il pericolo di ripristino”. In questo modo non si proteggerebbero quei detenuti al 41-bis per i quali è stata comprovata una pericolosità sociale elevata. La proposta di riforma, che è stata già approvata dalla Camera lo scorso 31 marzo, attende adesso di essere valutata dal Senato, il quale dovrà fare il possibile per esprimersi entro il 10 maggio. Questo è infatti il termine ultimo prima che la Corte Costituzionale si riunisca nuovamente e deliberi sull’incostituzionalità o meno della stessa.
Ovviamente non si è fatta attendere la reazione da parte del mondo antimafia e di diversi esponenti politici che vedono in questa riforma un vero e proprio lasciapassare per tutti quei detenuti che tanto male hanno arrecato allo Stato e che ancora rappresentano un serio pericolo. Secondo Sebastiano Ardita, consigliere del CSM ed esponente per diversi anni del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, il rischio è bivalente: da un lato, l’aggiunta di numerosi ed inutili cavilli burocratici all’interno della normativa non fa che complicare le cose e ciò andrebbe a vantaggio di detenuti pericolosi come gli esponenti mafiosi; dall’altro (aspetto forse ancor più importante), la possibilità che un esponente mafioso possa godere degli stessi benefici di un criminale qualunque è un chiaro schiaffo alla memoria.
Uno schiaffo rivolto soprattutto a Giovanni Falcone, a pochi giorni dal 30esimo anniversario della morte. Falcone per primo si accorse di come molti dei boss condannati durante il maxiprocesso fossero già in libertà nei primi anni ‘90. Fu proprio allora, infatti, che il magistrato, una volta a capo della Direzione degli Affari Penali, decise di avviare il sistema di prevenzione ancora oggi in uso. Successivamente, l’ergastolo ostativo venne poi inasprito proprio dopo le stragi di mafia del 1992, ma a distanza di 30 anni la memoria sembra iniziare a dissolversi.
“Ciò che più dispiace in tutta questa storia, la cosa che più manca è la memoria”, ha affermato Ardita nel corso di un convegno realizzato nell’aula magna della facoltà di Giurisprudenza di Palermo dall’associazione studentesca “Contrariamente” e alla quale hanno partecipato, tra gli altri, Antonio Balsamo, presidente del Tribunale di Palermo, il giornalista Salvo Palazzolo e il magistrato del CSM, Nino Di Matteo. “Non solo la memoria delle vittime di mafia e dei loro parenti – ha continuato Ardita – ma anche una memoria degli strumenti dello Stato, strumenti giudiziari di contrasto, che va perseguita e rispettata”. “Rispetto a queste problematiche che riguardano l’ergastolo ostativo – ha concluso – noi siamo tornati indietro come nel gioco dell’oca: esattamente alla base”.
Dello stesso avviso è il Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia, Francesco Del Bene, il quale in un’intervista rilasciata ad Antimafia Duemila ha ammesso che il rischio principale è che “quei soggetti di cosa nostra detenuti, alcuni dei quali del 41 bis, con il nuovo intervento legislativo” non sarebbero poi così “motivati a rendere dichiarazioni e collaborare con la giustizia”. Insomma, la situazione è complessa e a contendersi la posta in gioco ci sono “partecipanti” dal peso considerevole. Possibile che una norma del genere vada effettivamente in contrasto con dei diritti importantissimi come i diritti dell’uomo e che non può essere in qualche modo conciliata con essi? E se fosse così, possibile che l’unica alternativa sia quella di un pericoloso passepartout che darebbe slancio e nuovo vigore alla leva mafiosa? Con il 10 maggio alle porte, le possibilità di una “controriforma” si attenuano notevolmente, ma è forse proprio in casi del genere che una proroga ed un allungamento dei tempi sarebbe un intervento da prendere in seria considerazione. Perché c’è in gioco la sicurezza del Paese.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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