Carmen, Giuseppa, Cristine, Elena, Elisa, Simonetta e Juana Cecilia. Sette nomi, sette donne: sono le ultime sette vittime di femminicidio in Italia (tra ottobre e novembre 2021). Una vera e propria ecatombe che si ripete mese dopo mese, anno dopo anno. Il femminicidio è la più efferata tra le sfumature che la violenza ai danni delle donne può assumere ma non è certamente l’unica. Le donne, quotidianamente, subiscono abusi più o meno gravi, talvolta fisici, spesso psicologici. Una violenza anacronistica che sarebbe però troppo generoso e riduttivo ricondurre semplicemente ad una mentalità per così dire “antica”, mentre trova fondamento in un’inaccettabile dimensione del potere, quella intrisa di maschilismo. Una violenza che risiede nell’idea distorta che la donna sia in un qualche modo inferiore, approssimabile ad un oggetto, indegna di prendere decisioni, di essere libera, di opporsi o anche solo di pretendere che il proprio corpo non venga violato.

La violenza di genere sfocia in crimini non sempre facili da prevedere, evitare, dimostrare o perseguire, anche perché spesso si consuma tra le mura domestiche o comunque in seno a relazioni “familiari”. Proprio per questo si è avvertita forte l’esigenza di introdurre un nuovo apparato normativo in grado di offrire una nuova spinta alla prevenzione o all’efficacia del sistema sanzionatorio sino ad oggi vigente. È stato recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri il disegno di legge, a firma di 7 ministre, dedicato a questa delicatissima tematica ed ora, per poter diventare applicabile, dovrà seguire l’iter di approvazione da parte del parlamento.

Sono molte le novità previste dal ddl che lasciano sperare in una tutela più concreta in favore delle donne vittime di abusi. Innanzitutto, è stato ampliato l’ambito di applicazione della procedibilità d’ufficio, estendendo dunque di fatto il numero di reati che per essere perseguiti non necessiteranno dell’esplicita denuncia da parte della vittima. Nel testo, al vaglio delle Camere, sono altresì previsti: il ricorso al braccialetto elettronico e l’inasprimento della misura cautelare per chi si rifiuta di indossarlo; l’estensione di alcune misure di prevenzione personale previste dal codice antimafia anche a taluni reati previsti dal codice rosso contro la violenza sulle donne; rafforzamento dell’arresto in flagranza di reato per chi viola il divieto di avvicinamento ed estensione dell’arresto, anche non in flagranza di reato, in tutti i casi di lesioni, quando ricorrono le aggravanti previste dal codice rosso.

Per quanto concerne la sospensione condizionale della pena, viene previsto un rigido e rigoroso controllo, per verificare che il condannato segua effettivamente i percorsi di recupero individuati come idonei, in modo da revocare immediatamente la sospensione in caso di violazione degli obblighi condizionali. È stato inoltre previsto che i provvedimenti di cessazione della pena siano immediatamente comunicati alla vittima, al questore ed al prefetto in modo che possa, caso per caso, essere valutata la necessità di eventuali misure di prevenzione per la sicurezza della vittima stessa.

“Abbiamo sempre creduto in questo provvedimento che contiene un ventaglio di interventi che hanno un obiettivo chiaro: rafforzare gli strumenti di prevenzione e protezione delle donne”, ha dichiarato il ministro della Giustizia, Marta Cartabia, all’indomani dell’approvazione. “Non credo- ha aggiunto la ministra per il Sud, Mara Carfagna – sia mai successo che tante ministre si sedessero attorno a un tavolo contro la violenza sulle donne. È un segnale di come la consapevolezza sia cresciuta”. “Si è lavorato in un’ottica di prevenzione – ha commentato Fabiana Dadone, ministra per le Politiche Giovanili – per riuscire a consegnare alle giovani generazioni un Paese in cui non dover aver paura, soprattutto le ragazze”.

La speranza è che, una volta approvato e divenuto concretamente applicabile, questo assetto normativo possa fungere da deterrente e possa lentamente cambiare una mentalità troppo diffusa, possa rieducare al rispetto, all’eguaglianza, ad imparare a discernere tra vittime e carnefici, poiché troppo spesso i due ruoli vengono confusi. Fintantoché ad una vittima di violenza sessuale verrà chiesto che tipo di indumenti indossasse o finché ad una donna verrà “bonariamente” invitata “a non prendersela” o a  riderci su per una molestia fisica subita, fin quando non si prenderà consapevolezza che le vittime di abusi non sono oggetti, ma persone con sentimenti, pensieri, affetti, le strade e le case non saranno mai veramente sicure per nessuna donna.

Anna Serrapelle-ilmegafono.org