Stop agli allevamenti intensivi e, nello specifico, all’importazione di soia usata come mangime negli stessi allevamenti. Questa è una delle battaglie portate avanti da Greenpeace che, qualche settimana fa, al porto di Ravenna, ha protestato davanti allo stabilimento di Bunge Italia spa, succursale di Bunge Limited, tra le principali compagnie che si occupano di produzione e commercio internazionale di materie prime agricole, inclusa la soia. Gli attivisti di Greenpeace hanno scelto Ravenna, perché “in questo porto – scrivono sul sito dell’organizzazione – arriva circa la metà della soia importata nel nostro Paese!”. L’azione di Greenpeace è stata spettacolare: gli attivisti, italiani ed europei, si sono arrampicati sui silos (come si vede nella foto scattata da Lorenzo Moscia, qui sotto) e hanno aperto due grandi striscioni: uno raffigurante degli animali in fuga da una foresta in fiamme, l’altro con la scritta “Soia che distrugge le foreste”. Inoltre, hanno dipinto su un silos alto circa 30 metri, la scritta “Contiene foreste”.
Pochi chilometri più in là, altri hanno usato un maiale gigante costruito con legno riciclato e iuta, per sbarrare l’ingresso principale dello stabilimento di Bunge Italia spa, incatenandosi a un cancello e mostrando uno striscione con la scritta “Soia per mangimi = Deforestazione”. Il tema, infatti, è quello. La soia viene importata in Italia (tra i principali importatori europei) principalmente da Brasile e Argentina, per essere destinata agli allevamenti intensivi, che continuano a essere finanziati dall’Unione Europea. La PAC (Politica Agricola Comune), infatti, destina il 75% dei finanziamenti per l’agricoltura agli allevamenti intensivi, facendo aumentare la domanda di mangimi come la soia. Per produrre quest’ultima, le aziende multinazionali devastano ecosistemi preziosi, deforestando per fare spazio alle coltivazioni di soia.
Come sottolinea Greenpeace, la stessa Bunge Limited, nonostante la promessa di eliminare dalle proprie filiere il ricorso alla deforestazione entro il 2025, “continua ad avere interessi commerciali con una grande tenuta agricola come Agronegócio Estrondo – già accusata di deforestazione illegale e accaparramento di terre – che continua a farsi largo nel Cerrado brasiliano distruggendolo e aggredendo le comunità che vivono e proteggono quelle terre da generazioni”. Tutto questo avviene in un contesto normativo, quello europeo, che non fa abbastanza per scoraggiare chi devasta le foreste. Qualche settimana fa la Commissione europea ha pubblicato la prima bozza della normativa per eliminare la deforestazione dalle catene di approvvigionamento dell’Ue.
Una normativa incompleta perché, se da un lato “riconosce l’importanza di proteggere le foreste”, dall’altro non fa lo stesso con “altri importanti ecosistemi, come appunto il Cerrado”. “Inoltre – sostiene Greenpeace – il rispetto delle normative internazionali per la tutela dei diritti umani non viene considerato tra i requisiti necessari per immettere prodotti sul mercato comunitario”. Ecco il motivo della protesta attuata dagli attivisti qualche settimana fa e della richiesta al ministro dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli, di sostenere l’adozione di una politica italiana ed europea rigorosa ed efficace in materia. “Il nostro Paese – affermano gli attivisti – potrebbe migliorare le proprie politiche agricole, adottando misure per una graduale riduzione della produzione e del consumo di carne e latticini…ma se il Ministro Patuanelli non sceglierà questa strada, l’agricoltura sostenibile di cui tanto si parla, resterà un pensiero astratto”.
Redazione -ilmegafono.org
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