“Il problema è che si lascia alla discrezione dei politici stabilire quali siano le parole d’odio e quali no, questo non mi fa sentire tranquilla”.
Bene: teniamo a mente questa frase, pronunciata da Giorgia Meloni un anno e tre mesi fa, e facciamo un paio di considerazioni. La prima è che l’odio non ha sfumature. Non c’è un odio più intenso e uno light, uno Dop e uno a buon mercato. Possiamo sezionarlo, farlo a pezzi, studiarlo, ma l’odio, al di là del sostantivo maschile, è la quintessenza dell’ostilità, della ripugnanza. Si individua facilmente con le parole, questo è vero, ma non ci sono unità di misura per valutarne peso o lunghezza. La seconda è che l’odio non ha residenza fissa, non lo trovi a un indirizzo preciso, non ci sono app per individuarlo al passaggio da questo o quel luogo. Ne conviene che non ha neanche derivazioni astratte: l’odio non puoi metterlo a destra o a sinistra in un qualsiasi panorama politico. Puoi metterci le persone, lì, e nelle persone ci stanno le idee. L’odio lo trovi infilato là dentro, a sorreggere determinate idee, ma non puoi catalogarlo come si fa con le iniziative partitiche. Poi puoi afferrare con le pinze quelle idee e osservarne le radici, seguendo i percorsi che portano alle ideologie, al sessismo, allo sport.
Alla luce di questo, pensare che si possa lasciare la determinazione dell’odio “alla discrezione dei politici” appare abbastanza surreale. Giorgia Meloni pronunciò quella frase nel tentativo, abbastanza raffazzonato, di giustificare il mancato applauso dei suoi senatori a Liliana Segre nel giorno del varo della Commissione sull’odio. Disse che quel giorno di novembre del 2019 il gruppo di Fratelli d’Italia rimase immobile fra i banchi non nei confronti della senatrice a vita, ma del provvedimento. E, insomma, il rumore delle unghie sui vetri possiamo sentirlo ancora adesso.
L’ondata di solidarietà che adesso sta travolgendo Giorgia Meloni, definita “vacca” e “scrofa” dal professore di storia e storico dell’Università di Siena, Giovanni Gozzini, è la dimostrazione lampante del fatto che non ci può essere alcuna discrezionalità di fronte all’odio. È vero, assistiamo spesso a roboanti rigurgiti d’odio nei confronti di personaggi come Liliana Segre, e seguendone le radici finiamo più che altro in un sottobosco melmoso che cinge gli arbusti di Fratelli d’Italia, o della Lega, ma abbiamo assistito adesso a queste esternazioni stucchevoli da parte di chi si trova sulla sponda opposta, e non possiamo certo non additarlo, esattamente come abbiamo additato frasi come “affondiamo i barconi”. Che appartengono alla stessa Giorgia Meloni.
Questo per dire che sarebbe ipocrita non condannare tout court, perché la condanna dell’odio, così come l’odio, è avulsa dai concetti di spazio e tempo, dalle misure, dai luoghi. Io, però, non sono riuscito a non chiedermi se da questo brutto episodio di cui Giorgia Meloni ha fatto le spese si possa ricavare o meno qualcosa di buono. Perché come sarebbe ipocrita non condannare, sarebbe ipocrita pure non mettere in evidenza il fatto che il clima di odio nei confronti di chi viene considerato diverso, un clima che ha marchiato a fuoco l’era social che stiamo vivendo, affonda le radici soprattutto in quel sottobosco melmoso. Quello che minimizza le manifestazioni di odio contro Liliana Segre.
Qualcuno ha parlato di possibilità di catarsi di fronte a questa vicenda, e secondo me ne ha parlato a ragione, perciò rimango ad aspettare una nuova occasione che veda Liliana Segre al centro di una platea che applaude le sua storia e il suo coraggio, e nel caso in cui qualcuno dovesse manifestare dissenso di fronte a quella storia e a quel coraggio, aspetto la condanna per quell’odio mostrato in modo così palese, cosciente del fatto che deve essere per forza chiaro, adesso, che non ci sono discrezionalità di fronte all’odio.
Seba Ambra -ilmegafono.org
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