La seconda ondata è nel pieno, come in tanti avevano previsto, e i contagi crescono a dismisura in Italia e in Europa. Televisioni, talk show, telegiornali, giornali sono pieni di opinioni, allarmi, punti di vista, notizie, immagini. Come sempre, con i soliti difetti di narrazione, con i protagonismi di personaggi che battibeccano ogni giorno, con l’irrazionalità e le polemiche strumentali. Quello che manca, rispetto a marzo-aprile, è solo il bollettino quotidiano delle 18. Per il resto c’è quasi tutto, così come c’è lo spettro di un nuovo lockdown generale, che molti medici ritengono sarà inevitabile tra qualche settimana se la curva dei contagi dovesse crescere ancora. Intanto, quello che cresce è la tensione sociale seguita alle nuove misure che introducono restrizioni per quel che riguarda le attività economiche come ristoranti, bar, palestre e piscine, oltre a teatri e cinema.
Una tensione sociale che serpeggia già da tempo in un Paese in crisi, un Paese spaccato, che la gestione del Covid sta spaccando ancora di più. C’è chi protesta, chi sfrutta la protesta per creare disordine, chi attacca la protesta a prescindere, e così via. I ristoratori e i gestori di bar vengono spesso criticati, etichettati rapidamente come degli evasori abituali o dei datori di lavoro a nero, in modo da smontare la narrazione del loro diritto a sopravvivere. Di fronte a palestre e piscine, invece, si fanno spallucce, perché la situazione è quella che è, le terapie intensive sono a rischio collasso e quindi amen. Nel Paese obeso che ancora non comprende l’impatto sanitario dello sport c’è poco da stupirsi. Insomma, alla fine, nessun ragionamento concreto e logico, semplicemente il caos, tutti contro tutti. Una situazione che è propria di un’epoca che ha polarizzato la cittadinanza, grazie a una classe politica che ha spinto sulla divisione, sugli interessi di parte, sulla tutela di chi ha di più e ha un maggiore potere elettorale sul quale far leva.
Così ci si dimentica, ad esempio, che negli ultimi anni bar e ristoranti sono diventati anche attività sulle quali molti giovani hanno scommesso la propria vita e il proprio impiego, stanchi di vivere nella precarietà di un mercato del lavoro che la politica e le grandi lobby industriali hanno gradualmente impoverito e svuotato di tutele. Ci si dimentica che i ristoranti e i bar non sono solo quelli dove il lavoro nero si annida, ma anche che esistono gestori per bene e gente che lavora onestamente. Giovani ma anche persone con figli e famiglia che, magari, durante la riapertura post lockdown, hanno rispettato le regole, speso dei soldi per adeguare i propri locali, ridotto gli ingressi e dunque la clientela, facendo sacrifici. Persone che oggi, indistintamente, si trovano penalizzate come chi le regole non le ha rispettate, grazie anche all’assenza di controlli sui territori. Stessa cosa per le palestre e soprattutto le piscine, oggi costrette tutte insieme a chiudere, trovandosi così nello stesso calderone coloro i quali hanno seguito procedure e regole e coloro i quali invece se ne sono infischiati.
Naturalmente, non deve sfuggire di mente l’idea che la responsabilità è anche dei cittadini che hanno usato superficialità davanti al virus o ne hanno perfino negato l’esistenza, ma di certo i ritardi del governo e delle regioni lungo i 7 mesi che hanno separato ripartenza e seconda ondata sono inaccettabili. Come è inaccettabile la schizofrenia di alcune misure, la massima attenzione per alcuni settori e la superficialità per altri (vedi i centri commerciali). Detto questo, però, c’è un tema politico che non va dimenticato. Le proteste, al netto delle infiltrazioni violente, sono la fotografia di un Paese che non può più vivere senza un sostegno. Un Paese in crisi strutturale che sta pagando il prezzo di anni di macelleria sociale, di sprechi, di malapolitica, di assenza di visione. Ma soprattutto un Paese che non funziona nel suo insieme. E scaricare le responsabilità della situazione attuale solo sul governo sarebbe ingiusto. Perché regioni e comuni hanno colpe importanti, anzi spesso hanno aggravato le situazioni.
Le regioni sono quelle che sul piano della gestione della pandemia, fatta eccezione per qualche esempio virtuoso, sono state disastrose. Talmente disastrose che, quando sarà finito questo incubo, qualcuno dovrà fare mille passi indietro e affrettarsi a bruciare il fantoccio folle dell’autonomia differenziata. Per non parlare dei comuni, nei quali i controlli sono stati insufficienti, lasciando che la movida estiva si svolgesse senza troppe differenze con le epoche pre-virus. Senza dimenticare infine lo shock dei trasporti, delle linee stipate di passeggeri (ancora in questi giorni), in sfregio alle misure di contenimento che altri settori hanno dovuto subire senza poter dire nulla. A ciò bisogna aggiungere un altro elemento molto grave, ossia quello di un’opposizione irresponsabile.
Una accolita starnazzante di personaggi doppi, schierati dapprima sul fronte del negazionismo spicciolo, mischiati dentro piazze popolate da pseudofilosofi, tribuni folkloristici, delinquenti, fascisti e gente alla quale qualcuno ha lavato il cervello, per poi sedersi sul tronetto della critica, con il dito puntato verso chi ha scelto di passare le giornate lavorando, pur con errori e contraddizioni, per contenere il virus. Uno spettacolo pietoso che certifica l’assenza in Italia di una destra moderna, europea, conservatrice e responsabile. Un vuoto evidente e nocivo. Se da una parte abbiamo una sinistra timida, spezzettata e poco coraggiosa, dall’altra abbiamo questo vuoto, una voragine melmosa nella quale si muovono spesso nostalgici di regime, delinquentelli da curva, razzisti, affaristi della peggior specie, un vecchio leader da circo e due aspiranti leader da tastiera, lontanissimi da ciò che è l’idea di una destra sobria, matura, illuminata, e molto più vicini invece al popolo dei bevitori di grappa di un bar di quartiere.
Se Giorgia Meloni, che ha passato il tempo ad aizzare i negazionisti, facendo manifestazioni in piazza con esponenti della follia collettiva, oggi offre sostegno in cambio della sospensione del DPCM e con la promessa di andare a nuove elezioni, è chiaro che siamo di fronte alla totale assenza di responsabilità politica, al disinteresse per il bene comune e per la situazione attuale. Insomma, forse il problema in questo Paese è proprio questo, ossia la mancanza di razionalità. Si vive tutto sul piano dello scontro, dell’individualismo, dell’interesse di parte. Il Covid non è solo un virus, ma è soprattutto uno specchio sul grado di maturità e coscienza del sistema Paese. E l’immagine che ne viene fuori non è rassicurante. Così come non lo è aizzare le folle, né snobbare il malcontento di chi ha finito i soldi ed è in difficoltà, perché ignorare non aiuta a calmare le cose, ma anzi apre le porte a chi su quel fuoco, in buona parte sincero, sa soffiare con il vento inquinato della violenza.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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